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Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone in condizione analoga ala schiavitù è punito con la reclusione da cinque a venti anni.
CODICE - CODICE PENALE
CODICE PENALE
LIBRO I.
DEI REATI IN GENERALE
TITOLO I.
DELLA LEGGE PENALE.
Art. 1.
(Reati e pene: disposizione espressa di legge).
Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite.
Art. 2.
(Successione di leggi penali).
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti.
Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.
Art. 3.
(Obbligatorietà della legge penale).
La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale.
La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all'estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale.
Art. 4.
(Cittadino italiano. Territorio dello Stato).
Agli effetti della legge penale, sono considerati cittadini italiani i cittadini delle colonie, i sudditi coloniali, gli appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità dello Stato e gli apolidi residenti nel territorio dello Stato.
Agli effetti della legge penale, è territorio dello Stato, il territorio del Regno, quello delle colonie e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera.
Art. 5.
(Ignoranza della legge penale).
Nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale.
Art. 6.
(Reati commessi nel territorio dello Stato).
Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana.
Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione o l'omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione od omissione.
Art. 7.
(Reati commessi all'estero).
È punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati:
delitti contro la personalità dello Stato;
delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;
delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano;
delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni;
ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l'applicabilità della legge penale italiana.
Art. 8.
(Delitto politico commesso all'estero).
Il cittadino o lo straniero, che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel numero 1° dell'articolo precedente è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia.
Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre a tale richiesta, anche la querela.
Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici.
Art. 9.
(Delitto comune del cittadino all'estero).
Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte o l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato.
Se si tratta di delitto per il quale è stabilita un pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, ovvero a istanza o a querela della persona offesa.
Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che l'estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto.
Art. 10.
(Delitto comune dello straniero all'estero).
Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli
articoli 7 e 8
, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte o l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia richiesta del Ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa.
Se il delitto è commesso a danno di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che:
si trovi nel territorio dello Stato;
si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena di morte o dell'ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni;
l'estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene.
Art. 11.
(Rinnovamento del giudizio).
Nel caso indicato nell'articolo 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato, anche se sia stato giudicato all'estero.
Nei casi indicati negli
articoli 7, 8, 9 e 10
, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all'estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta.
Art. 12.
(Riconoscimento delle sentenze penali straniere).
Alla sentenza penale straniera pronunciata per un delitto può essere dato riconoscimento:
per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l'abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere;
quando la condanna importerebbe, secondo la legge italiana, una pena accessoria;
quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o prosciolta, che si trova nel territorio dello Stato, a misure di sicurezza personali;
quando la sentenza straniera porta condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno, ovvero deve, comunque, esser fatta valere in giudizio nel territorio dello Stato, agli effetti delle restituzioni o del risarcimento del danno, o ad altri effetti civili.
Per farsi luogo al riconoscimento, la sentenza deve essere stata pronunciata dall'Autorità giudiziaria di uno Stato estero col quale esiste trattato di estradizione, se questo non esiste, la sentenza estera può essere egualmente ammessa a riconoscimento nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta. Tale richiesta non occorre se viene fatta istanza per il riconoscimento agli effetti indicati nel numero 4°.
Art. 13.
(Estradizione).
L'estradizione è regolata dalla legge penale italiana, dalle convenzioni e dagli usi internazionali.
L'estradizione non è ammessa, se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione, non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera.
L'estradizione può essere conceduta od offerta, anche per reati non preveduti nelle convenzioni internazionali, purché queste non ne facciano espresso divieto.
Non è ammessa l'estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali.
Art. 14.
(Computo e decorrenza dei termini).
Quando la legge penale fa dipendere un effetto giuridico dal decorso del tempo, per il computo di questo si osserva il calendario comune.
Ogni qual volta la legge penale stabilisce un termine per il verificarsi di un effetto giuridico, il giorno della decorrenza non è computato nel termine.
Art. 15.
(Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale).
Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito.
Art. 16.
(Leggi penali speciali).
Le disposizioni di questo codice si applicano anche alle materie regolate da altre leggi penali, in quanto non sia da queste stabilito altrimenti.
TITOLO II.
DELLE PENE.
CAPO I.
DELLE SPECIE DI PENE, IN GENERALE.
Art. 1
(Pene principali: specie).
Le pene principali stabilite per i delitti sono:
la morte;
l'ergastolo;
la reclusione;
la multa.
Le pene principali stabilite per le contravvenzioni sono:
l'arresto;
l'ammenda.
Art. 18.
(Denominazione e classificazione delle pene principali).
Sotto la denominazione di pene detentive o restrittive della libertà personale la legge comprende: l'ergastolo, la reclusione e l'arresto.
Sotto la denominazione di pene pecuniarie la legge comprende: la multa e l'ammenda.
Art. 19.
(Pene accessorie: specie).
Le pene accessorie per i delitti sono:
l'interdizione dai pubblici uffici;
l'interdizione da una professione o da un'arte;
l'interdizione legale;
la perdita della capacità di testare e la nullità del testamento fatto prima della condanna;
la perdita o la sospensione dall'esercizio della patria podestà o dell'autorità materiale.
Pena accessoria per le contravvenzioni è la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte.
Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza penale di condanna.
La legge penale determina gli altri casi in cui pene accessorie stabilite per i delitti sono comuni alle contravvenzioni.
Art. 20.
(Pene principali e accessorie).
Le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa.
CAPO II.
DELLE PENE PRINCIPALI, IN PARTICOLARE.
Art. 21.
(Pena di morte).
La pena di morte si esegue mediante la fucilazione, nell'interno di una stabilimento penitenziario, ovvero in un altro luogo indicato dal Ministro della giustizia.
L'esecuzione non è pubblica, salvo che il Ministro della giustizia disponga altrimenti.
Art. 22.
(Ergastolo).
La pena dell'ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno.
Il condannato all'ergastolo, che ha scontato almeno tre anni della pena, può essere ammesso al lavoro all'aperto.
Il Ministro della giustizia può disporre che l'esecuzione della pena abbia luogo in una colonia o in un altro possedimento d'oltremare.
Il condannato, che sconta la pena in una colonia o in un altro possedimento d'oltremare, può essere ammesso al lavoro all'aperto, anche prima che sia trascorso il termine indicato nel primo capoverso.
Art. 23.
(Reclusione).
La pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno.
Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all'aperto.
Sono applicabili alla pena della reclusione le disposizioni degli ultimi due capoversi dell'articolo precedente.
Art. 24.
(Multa).
La pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire cinquanta, né superiore a lire cinquantamila.
Per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da lire cinquanta a ventimila.
Quando, per le condizioni economiche del reo, la multa stabilita dalla legge può presumersi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al triplo.
Art. 25.
(Arresto).
La pena dell'arresto si estende da cinque giorni a tre anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati o in sezioni speciali degli stabilimenti di reclusione, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno.
Il condannato all'arresto può essere addetto a lavori anche diversi da quelli organizzati nello stabilimento, avuto riguardo alle sue attitudini e alle sue precedenti occupazioni.
Art. 26.
(Ammenda).
La pena dell'ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire venti, né superiore a lire diecimila.
Quando, per le condizioni economiche del reo, l'ammenda stabilita dalla legge può presumersi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al triplo.
Art. 27.
(Pene pecuniarie fisse e proporzionali).
La legge determina i casi nei quali le pene pecuniarie sono fisse e quelli in cui sono proporzionali. Le pene pecuniarie proporzionali non hanno limite massimo.
CAPO III.
DELLE PENE ACCESSORIE, IN PARTICOLARE.
Art. 28.
(Interdizione dai pubblici uffici).
L'interdizione dai pubblici uffici è perpetua o temporanea.
L'interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato:
del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico;
di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, e della qualità ad essi inerente di pubblico ufficiale o d'incaricato di pubblico servizio;
dell'ufficio di tutore o di curatore, anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura;
dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche;
degli stipendi, delle pensioni, e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico;
di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque degli uffici, servizi, gradi o titoli e delle qualità, dignità e decorazioni indicati nei numeri precedenti;
della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità grado, titolo dignità, decorazione e insegna onorifica, indicati nei numeri precedenti.
L'interdizione temporanea priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l'interdizione, i predetti diritti, uffici, servizi, qualità gradi, titoli e onorificenze.
Essa non può avere una durata inferiore a un anno, né superiore a cinque.
La legge determina i casi nei quali l'interdizione dai pubblici uffici è limitata ad alcuni di questi.
Art. 29.
(Casi nei quali alla condanna consegue l'interdizione dai pubblici uffici).
La condanna all'ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
La dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto, ovvero di tendenza a delinquere, importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Art. 30.
(Interdizione da una professione o da un'arte).
L'interdizione da una professione o da un'arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante l'interdizione, una professione, arte, industria, o un commercio, o mestiere, per cui è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell'Autorità, e importa la decadenza dal permesso o dall'abilitazione, autorizzazione, o licenza anzidetti.
L'interdizione da una professione o da un'arte non può avere una durata inferiore a un mese, né superiore a cinque anni, salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge.
Art. 31.
(Condanna per delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio o di una professione o di un'arte. Interdizione).
Ogni condanna per delitti commessi con l'abuso dei poteri, o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel numero 3° dell'articolo 28, ovvero con l'abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio o mestiere, o con la violazione dei doveri a essi inerenti, importa l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria, o dal commercio o mestiere.
Art. 32.
(Interdizione legale).
Il condannato all'ergastolo è in stato d'interdizione legale.
La condanna all'ergastolo importa anche la perdita della patria potestà, dell'autorità maritale e della capacità di testare, e rende nullo il testamento fatto prima della condanna.
Il condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni è, durante la pena, in stato d'interdizione legale; la condanna produce altresì, durante la pena, la sospensione dall'esercizio della patria potestà e dell'autorità maritale, salvo che il giudice disponga altrimenti.
Alla interdizione legale si applicano, per ciò che concerne la disponibilità e l'amministrazione dei beni, nonché la rappresentanza negli atti ad esse relativi, le norme della legge civile, sulla interdizione giudiziale.
Art. 33.
(Condanna per delitto colposo).
Le disposizioni dell'articolo 29 e del secondo capoverso dell'articolo precedente non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo.
Le disposizioni dell'articolo 31 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo, se la pena inflitta è inferiore a tre anni di reclusione, o se è inflitta soltanto una pena pecuniaria.
Art. 34.
(Perdita della patria potestà o dell'autorità maritale, ovvero sospensione dall'esercizio di esse).
La legge determina casi nei quali la condanna importa la perdita della patria potestà o dell'autorità maritale.
La condanna per delitti commessi con abuso della patria potestà o dell'autorità maritale importa la sospensione dall'esercizio di esse per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta.
La perdita della patria potestà o dell'autorità maritale importa anche la privazione di ogni diritto che al genitore o al marito spetti sui beni del figlio o della moglie, in forza della patria potestà o dell'autorità maritale.
La sospensione dall'esercizio della patria potestà o dell'autorità maritale importa anche l'incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore o al marito spetti sui beni del figlio o della moglie, in forza della patria potestà o dell'autorità maritale.
Art. 35.
(Sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte).
La sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante la sospensione, una professione, arte, industria, o un commercio o mestiere, per i quali è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell'Autorità.
La sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte non può avere una durata inferiore a quindici giorni, né superiore a due anni.
Essa consegue a ogni condanna per contravvenzione, che sia commessa con abuso della professione, arte, industria, o del commercio o mestiere, ovvero con violazione dei doveri ad essi inerenti, quando la pena inflitta non è inferiore a un anno d'arresto.
Art. 36.
(Pubblicazione della sentenza penale di condanna).
La sentenza di condanna alla pena di morte o all'ergastolo è pubblicata mediante affissione nel comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l'ultima residenza.
La sentenza di condanna è inoltre pubblicata, per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice.
La pubblicazione è fatta per estratto, salvo che il giudice disponga la pubblicazione per intero; essa è eseguita d'ufficio e a spese del condannato.
La legge determina gli altri casi nei quali la sentenza di condanna deve essere pubblicata. In tali casi la pubblicazione ha luogo nei modi stabiliti nei due capoversi precedenti.
Art. 37.
(Pene accessorie temporanee: durata).
Quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione, per insolvibilità del condannato. Tuttavia, in nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria.
Art. 38.
(Condizione giuridica del condannato alla pena di morte).
Il condannato alla pena di morte è equiparato al condannato all'ergastolo, per quanto riguarda la sua condizione giuridica.
TITOLO III.
DEL REATO.
CAPO I.
DEL REATO CONSUMATO E TENTATO.
Art. 39.
(Reato: distinzione fra delitti e contravvenzioni).
I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice.
Art. 40.
(Rapporto di causalità).
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
Art. 41.
(Concorso di cause).
Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento.
Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita.
Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.
Art. 42.
(Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale, responsabilità obiettiva).
Nessuno può essere punito per un'azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà.
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge.
La legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione.
Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
Art. 43.
(Elemento psicologico del reato).
Il delitto:
è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è risultato dall'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione;
è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione ne deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente;
è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti ordini o discipline.
La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta, per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico.
Art. 44.
(Condizione obiettiva di punibilità).
Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto.
Art. 45.
(Caso fortuito o forza maggiore).
Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore.
Art. 46.
(Costringimento fisico).
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi.
In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l'autore della violenza.
Art. 47.
(Errore di fatto).
L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
L'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso.
L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato.
Art. 48.
(Errore determinato dall'altrui inganno).
Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche se l'errore sul fatto che costituisce il reato è determinato dall'altrui inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l'ha determinata a commetterlo.
Art. 49.
(Reato supposto erroneamente e reato impossibile).
Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato.
La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell'azione o per la inesistenza dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento dannoso o pericoloso.
Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso.
Nel caso indicato nel primo capoverso, il giudice può ordinare che l'imputato prosciolto sia sottoposto a misura di sicurezza.
Art. 50.
(Consenso dell'avente diritto).
Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne.
Art. 51.
(Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere).
L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità.
Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine.
Risponde del reato altresì chi ha eseguito l'ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.
Non è punibile chi esegue l'ordine legittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine.
Art. 52.
(Difesa legittima).
Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.
Art. 53.
(Uso legittimo delle armi).
Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'Autorità.
La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza.
La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l'uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica.
Art. 54.
(Stato di necessità).
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo.
Art. 55.
(Eccesso colposo).
Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli
articoli 51, 52, 53 e 54
, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Art. 56.
(Delitto tentato).
Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica.
Il colpevole di delitto tentato è punito: con la reclusione da ventiquattro a trenta anni, se dalla legge è stabilita per il delitto la pena di morte; con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l'ergastolo; e, negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.
Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso.
Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.
Art. 57.
(Responsabilità per reati commessi col mezzo della stampa).
Per i reati commessi col mezzo della stampa si osservano le disposizioni seguenti:
qualora si tratti di stampa periodica, chi riveste la qualità di direttore o redattore responsabile risponde, per ciò solo, del reato commesso, salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione;
qualora si tratti di stampa non periodica, del reato commesso risponde l'autore della pubblicazione, ovvero, se questi è ignoto o non è imputabile, l'editore, ovvero, se anche questi è ignoto o non è imputabile, lo stampatore.
Art. 58.
(Stampa clandestina).
Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche se non sono state osservate le prescrizioni di legge sulla pubblicazione e diffusione della stampa periodica e non periodica.
Se sono ignote o non imputabili le persone nel detto articolo indicate, dei reati commessi col mezzo della stampa rispondono tutti coloro che in qualsiasi modo divulgano gli stampati.
CAPO II.
DELLE CIRCOSTANZE DEL REATO.
Art. 59.
(Circostanze non conosciute o erroneamente supposte).
Salvo che la legge disponga altrimenti, le circostanze che aggravano ovvero attenuano o escludono la pena sono valutate, rispettivamente, a carico o a favore dell'agente, anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Art. 60.
(Errore sulla persona dell'offeso).
Nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono poste a carico dell'agente le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole.
Sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano, se si tratta di circostanze che riguardano l'età o altre condizioni o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa.
Art. 61.
(Circostanze aggravanti comuni).
Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti:
l'avere agito per motivi abietti o futili;
l'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato.
l'avere nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento;
l'avere adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone;
l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
l'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato;
l'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità;
l'avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso;
l'avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di Ministro di un culto;
10°
l'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio;
11°
l'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità.
Art. 62.
(Circostanze attenuanti comuni).
Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti:
l'avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;
l'avere reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui;
l'avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall'autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza;
l'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità;
l'essere concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o l'omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa;
l'avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l'essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell'ultimo capoverso dell'articolo 56 adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Art. 63.
(Applicazione degli aumenti e delle diminuzioni di pena).
Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro i limiti determinati, l'aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.
Se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l'aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente.
Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa, o ne determina la misura in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non si opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta.
Se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla.
Se concorrono più circostanze attenuanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le predette circostanze; ma il giudice può diminuirla.
Art. 64.
(Aumento di pena nel caso di una sola circostanza aggravante).
Quando ricorre una circostanza aggravante, e l'aumento di pena non è determinato dalla legge, è aumentata fino a un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso.
Nondimeno, la pena della reclusione da applicare per effetto dell'aumento non può superare gli anni trenta.
Art. 65.
(Diminuzione di pena nel caso di una sola circostanza attenuante).
Quando ricorre una circostanza attenuante, e non è dalla legge determinata la diminuzione di pena, si osservano le norme seguenti:
alla pena di morte è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni;
alla pena dell'ergastolo è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni;
le altre pene sono diminuite in misura non eccedente un terzo.
Art. 66.
(Limiti degli aumenti di pena nel caso di concorso di più circostanze aggravanti).
Se concorrono più circostanze aggravanti, la pena da applicare per effetto degli aumenti non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge per il reato, salvo che si tratto delle circostanze indicate nel secondo capoverso dell'articolo 63, né comunque eccedere:
gli anni trenta, se si tratta della reclusione;
gli anni cinque, se si tratta dell'arresto;
e rispettivamente, lire centomila o ventimila, se si tratta della multa o dell'ammenda; ovvero, rispettivamente, lire trecentomila o sessantamila, se il giudice si vale della facoltà indicata nel secondo capoverso dell'articolo 24 e nel capoverso dell'articolo 26.
Art. 67.
(Limiti delle diminuzioni di pena nel caso di concorso di più circostanze attenuanti).
Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore:
a quindici anni di reclusione, se per il delitto la legge stabilisce la pena di morte;
a dieci anni di reclusione, se per il delitto la legge stabilisce la pena dell'ergastolo.
Le altre pene sono diminuite. In tal caso, quando non si tratta delle circostanze indicate nel secondo capoverso dell'articolo 63, la pena non può essere applicata in misura inferiore ad un quarto.
Art. 68.
(Limiti al concorso di circostanze).
Salvo quanto è disposto nell'articolo 15, quando una circostanza aggravante comprende in sè un'altra circostanza aggravante, ovvero una circostanza attenuante comprende in sè un'altra circostanza attenuante, è valutata a carico o a favore del colpevole soltanto la circostanza aggravante o la circostanza attenuante la quale importa, rispettivamente, il maggiore aumento o la maggiore diminuzione di pena.
Se le circostanze aggravanti o attenuanti importano lo stesso aumento o la stessa diminuzione di pena, si applica un solo aumento o una sola diminuzione di pena.
Art. 69.
(Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti).
Quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, e le prime sono dal giudice ritenute prevalenti, non si tien conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti.
Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tien conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime, e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti.
Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze.
Le disposizioni precedenti non si applicano alle circostanze inerenti alla persona del colpevole e a qualsiasi altra circostanza, per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.
In tal caso, gli aumenti e le diminuzioni di pena si operano a norma dell'articolo 63, valutata per ultima la recidiva.
Art. 70.
(Circostanze oggettive e soggettive).
Agli effetti della legge penale:
sono circostanze oggettive quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell'offeso;
sono circostanze soggettive quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l'offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole.
Le circostanze inerenti alla persona del colpevole riguardano la imputabilità e la recidiva.
CAPO III.
DEL CONCORSO DI REATI.
Art. 71.
(Condanna per più reati con unica sentenza o decreto).
Quando, con una sola sentenza o con un solo decreto, si deve pronunciare condanna per più reati contro la stessa persona, , si applicano le disposizioni degli articoli seguenti.
Art. 72.
(Concorso di reati che importano l'ergastolo e di reati che importano pene detentive temporanee).
Al colpevole di più delitti, ciascuno dei quali importa l'ergastolo, si applica la pena di morte.
Nel caso di concorso di un delitto che importa la pena dell'ergastolo, con uno o più delitti che importano le pene detentive temporanee, si applica la pena dell'ergastolo, con l'isolamento diurno per un periodo di tempo non inferiore a sei mesi e non superiore a quattro anni.
Art. 73.
(Concorso di reati che importano pene detentive temporanee o pene pecuniarie alla stessa specie).
Se più reati importano pene temporanee detentive della stessa specie, si applica una pena unica, per un tempo eguale alla durata complessiva delle pene che si dovrebbero infliggere per i singoli reati.
Quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica l'ergastolo.
Le pene pecuniarie della stessa specie si applicano tutte per intero.
Art. 74.
(Concorso di reati che importano pene detentive di specie diversa).
Se più reati importano pene temporanee detentive di specie diversa, queste si applicano tutte distintamente per intero.
La pena dell'arresto è eseguita per ultima.
Art. 75.
(Concorso di reati che importano pene pecuniarie di specie diversa).
Se più reati importano pene pecuniarie di specie diversa, queste si applicano tutte distintamente e per intero.
Nel caso che la pena pecuniaria non sia stata pagata per intero, la somma pagata agli effetti della conversione, viene detratta dall'ammontare della multa.
Art. 76.
(Pene concorrenti considerate come pena unica ovvero come pene distinte).
Salvo che la legge stabilisca altrimenti, le pene della stessa specie concorrenti a norma dell'articolo 73 si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico.
Le pene di specie diversa concorrenti a norma degli
articoli 74 e 75
si considerano egualmente, per ogni effetto giuridico, come pena unica della specie più grave. Nondimeno si considerano come pene distinte, agli effetti della loro esecuzione, dell'applicazione delle misure di sicurezza e in ogni altro caso stabilito dalla legge.
Se una pena pecuniaria concorre con un'altra pena di specie diversa, le pene si considerano distinte per qualsiasi effetto giuridico.
Art. 77.
(Determinazione delle pene accessorie).
Per determinare le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, si ha riguardo ai singoli reati per i quali è pronunciata la condanna, e alle pene principali che, se non vi fosse concorso di reati, si dovrebbe infliggere per ciascuno di essi.
Se concorrono pene accessorie della stessa specie, queste si applicano tutte per intero.
Art. 78.
(Limiti degli aumenti delle pene principali).
Nel caso di concorso di reati, preveduto dall'articolo 73, la pena da applicare a norma dello stesso articolo non può essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti, né comunque eccedere:
trenta anni, per la reclusione;
sei anni, per l'arresto;
lire centocinquantamila per la multa e lire trentamila per l'ammenda; ovvero lire quattrocentomila per la multa e lire ottantamila per l'ammenda, se il giudice si avvale della facoltà indicata nel secondo capoverso dell'articolo 24 e nel capoverso dell'articolo 26.
Nel caso di concorso di reati, preveduto dall'articolo 74, la durata delle pene da applicare a norma dell'articolo stesso non può superare gli anni trenta. La parte di pena, eccedente tale limite, è detratta in ogni caso dall'arresto.
Quando le pene pecuniarie debbono essere convertite in pena detentiva, per l'insolvibilità del condannato, la durata complessiva di tale pena non può superare quattro anni per la reclusione e tre anni per l'arresto.
Art. 79.
(Limiti degli aumenti delle pene accessorie).
La durata massima delle pene accessorie temporanee non può superare, nel complesso, i limiti seguenti:
dieci anni, se si tratta dell'interdizione dai pubblici uffici o dell'interdizione da una professione o da un'arte;
cinque anni, se si tratta della sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte.
Art. 80.
(Concorso di pene inflitte con sentenze o decreti diversi).
Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui, dopo una sentenza o un decreto di condanna, si deve giudicare la stessa persona per un altro reato commesso anteriormente o posteriormente alla condanna medesima, ovvero quando contro la stessa persona si debbono eseguire più sentenze o più decreti di condanna.
Art. 81.
(Più violazioni di una o di diverse disposizioni di legge con una o più azioni. Reato continuato).
Chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni di legge o commette più violazioni della medesime disposizione di legge è punito a norma degli articoli precedenti.
Le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano a chi, con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa disposizione di legge, anche se di diversa gravità.
In tal caso le diverse violazioni si considerano come un solo reato e si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo.
Art. 82.
(Offesa di persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta).
Quando, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell'articolo 60.
Qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentato fino alla metà.
Art. 83.
(Evento diverso da quello voluto dall'agente).
Fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente se, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Se il colpevole ha cagionato altresì l'evento voluto, si applicano le regole sul concorso dei reati.
Art. 84.
(Reato complesso).
Le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per sé stessi, reato.
Qualora la legge, nella determinazione della pena per il reato complesso, si riferisca alle pene stabilite per i singoli reati che lo costituiscono, non possono essere superati i limiti massimi indicati negli
articoli 78 e 79
.
TITOLO IV.
DEL REO E DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO.
CAPO I.
DELLA IMPUTABILITÀ.
Art. 85.
(Capacità d'intendere e di volere).
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile.
È imputabile chi ha la capacità d'intendere e di volere.
Art. 86.
(Determinazione di altri dello stato d'incapacità, allo scopo di far commettere un reato).
Se taluno mette altri nello stato d'incapacità d'intendere o di volere, al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato d'incapacità.
Art. 87.
(Stato preordinato d'incapacità d'intendere o di volere).
La disposizione della prima parte dell'articolo 85 non si applica a chi si è messo in stato d'incapacità d'intendere o di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa.
Art. 88.
(Vizio totale di mente).
Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d'intendere o di volere.
Art. 89.
(Vizio parziale di mente).
Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d'intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita.
Art. 90.
(Stati emotivi o passionali).
Gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l'imputabilità.
Art. 91.
(Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore).
Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d'intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore.
Se l'ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d'intendere o di volere, la pena è diminuita.
Art. 92.
(Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata).
L'ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità.
Se l'ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata.
Art. 93.
(Fatto commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti).
Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto è stato commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti.
Art. 94.
(Ubriachezza abituale).
Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata.
Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all'uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza.
L'aggravamento di pena è stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all'uso di tali sostanze.
Art. 95.
(Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti).
Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli
articoli 88 e 89
.
Art. 96.
(Sordomutismo).
Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità d'intendere o di volere.
Se la capacità d'intendere o di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita.
Art. 97.
(Minore degli anni quattordici).
Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni.
Art. 98.
(Minore degli anni diciotto).
È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d'intendere e di volere; ma la pena è diminuita.
Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l'interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall'esercizio della patria potestà o dell'autorità maritale.
CAPO II.
DELLA RECIDIVA, DELL'ABITUALITÀ E PROFESSIONALITÀ NEL REATO E DELLA TENDENZA A DELINQUERE.
Art. 99.
(Recidiva).
Chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro, soggiace a un aumento fino a un sesto della pena da infliggere per il nuovo reato.
La pena è aumentata fino alla metà:
se il nuovo reato è della stessa indole;
se il nuovo reato è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente;
se il nuovo reato è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena.
Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate nei numeri precedenti, l'aumento di pena è da un terzo alla metà.
Se il recidivo commette un altro reato, l'aumento della pena, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, è da un terzo alla metà, e, nei casi preveduti dai capoversi precedenti, è dalla metà ai due terzi.
Art. 100.
(Recidiva facoltativa).
Il giudice, salvo che si tratti di reati della stessa indole, ha facoltà di escludere la recidiva fra i delitti e contravvenzioni, ovvero fra delitti dolosi o preterintenzionali e delitti colposi, ovvero fra contravvenzioni.
Art. 101.
(Reati della stessa indole).
Agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pure essendo preveduti da disposizioni diverse di questo codice, ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni.
Art. 102.
(Abitualità presunta dalla legge).
È dichiarato delinquente abituale chi, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un'altra condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, e commesso entro i dieci anni successivi all'ultimo dei delitti precedenti.
Nei dieci anni indicati nella disposizione precedente non si computa il tempo in cui il condannato ha scontato pene detentive o è stato sottoposto a misure di sicurezza detentive.
Art. 103.
(Abitualità ritenuta dal giudice).
Fuori del caso indicato nell'articolo precedente, la dichiarazione di abitualità nel delitto è pronunciata anche contro chi, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi, riporta un'altra condanna per delitto non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell'articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al delitto.
Art. 104.
(Abitualità nelle contravvenzioni).
Chi, dopo essere stato condannato alla pena dell'arresto per tre contravvenzioni della stessa indole, riporta condanna per un'altra contravvenzione, anche della stessa indole, è dichiarato contravventore abituale, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell'articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al reato.
Art. 105.
(Professionalità nel reato).
Chi, trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanna per un altro reato, è dichiarato delinquente o contravventore professionale, qualora, avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta e al genere di vita del colpevole e alle altre circostanze indicate nel capoverso dell'articolo 133, debba ritenersi che egli viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato.
Art. 106.
(Effetti dell'estinzione del reato o della pena).
Agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato, si tien conto altresì delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena.
Tale disposizione non si applica quando la causa estingue anche gli effetti penali.
Art. 107.
(Condanna per vari reati con una sola sentenza).
Le disposizioni relative alla dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato si applicano anche se per i vari reati, è pronunciata condanna con una sola sentenza.
Art. 108.
(Tendenza a delinquere).
È dichiarato delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo o delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo, contro la vita o l'incolumità individuale, anche non preveduto dal capo primo del titolo dodicesimo del libro secondo di questo codice, il quale, per sé e unitamente alle circostanze indicate nel capoverso dell'articolo 133, riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell'indole particolarmente malvagia del colpevole.
La disposizione di questo articolo non si applica se la inclinazione al delitto è originata dall'infermità preveduta dagli
articoli 88 e 89
.
Art. 109.
(Effetti della dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere).
Oltre gli aumenti di pena stabiliti per la recidiva e i particolari effetti indicati da altre disposizioni di legge, la dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato o di tendenza a delinquere importa l'applicazione di misure di sicurezza.
La dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato può essere pronunciata in ogni tempo, anche dopo la esecuzione della pena; ma se è pronunciata dopo la sentenza di condanna, non si tien conto della successiva condotta del colpevole e rimane ferma la pena inflitta.
La dichiarazione di tendenza a delinquere non può essere pronunciata che con la sentenza di condanna.
La dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato e quella di tendenza a delinquere si estinguono per effetto della riabilitazione.
CAPO III.
DEL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO.
Art. 110.
(Pena per coloro che concorrono nel reato).
Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.
Art. 111.
(Determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile).
Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questa commesso; e la pena è aumentata.
Art. 112.
(Circostanze aggravanti).
La pena da infliggere per il reato commesso è aumentata:
se il numero delle persone, che sono concorse nel ratto, è di cinque o più salvo che la legge disponga altrimenti;
per chi, anche fuori dei casi preveduti dai due numeri seguenti, ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo;
per chi, nell'esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a commettere il reato persona ad esso soggette;
per chi, fuori del caso preveduto dall'articolo precedente, ha determinato a commettere il reato un minore degli anni diciotto, o una persona in stato d'infermità o di deficienza psichica.
Gli aggravamenti di pena stabiliti nei
numeri 1°, 2°, e 3° di questo articolo
si applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile.
Art. 113.
(Cooperazione nel delitto colposo).
Nel delitto colposo quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.
La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell'articolo 111 e nei
numeri 3° e 4° dell'articolo 112
.
Art. 114.
(Circostanze attenuanti).
Il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da taluna dell persone che sono concorse nel reato a norma degli
articoli 110 e 113
abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena.
Tale disposizione non si applica nei casi indicati nell'articolo 112. La pena può altresì essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni stabilite nei
numeri 3° e 4° dell'articolo 112
.
Art. 115.
(Accordo per commettere un reato. Istigazione).
Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell'accordo.
Nondimeno, nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice può applicare una misura di sicurezza.
Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se la istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso.
Qualora la istigazione non sia stata accolta, e si sia trattato d'istigazione a un delitto, l'istigatore può essere sottoposto a misura di sicurezza.
Art. 116.
(Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti).
Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione.
Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave.
Art. 117.
(Mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti).
Se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave, il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena.
Art. 118.
(Valutazione delle circostanze aggravanti o attenuanti).
Le circostanze oggettive, che aggravano o diminuiscono la pena, anche se non conosciute da tutti coloro che concorrono nel reato, sono valutate a carico o a favore di essi.
Le circostanze soggettive, non inerenti alla persona del colpevole, che aggravano la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato, stanno a carico anche degli altri, sebbene non conosciute, quando hanno servito ad agevolare l'esecuzione del reato.
Ogni altra circostanza, che aggrava o diminuisce la pena, è valutata soltanto riguardo alla persona a cui si riferisce.
Art. 119.
(Valutazione delle circostanze di esclusione della pena).
Le circostanze di esclusione soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono.
Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato.
CAPO IV.
DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO.
Art. 120.
(Diritto di querela).
Ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d'ufficio o dietro richiesta o istanza ha diritto di querela.
Per i minori degli anni quattordici e per gli interdetti a cagione d'infermità di mente, il diritto di querela è esercitato dal genitore o dal tutore.
I minori che hanno compiuto gli anni quattordici e gli inabilitati possono esercitare il diritto di querela e possono altresì, in loro vece, esercitarlo il genitore ovvero il tutore o il curatore, nonostante ogni contraria dichiarazione di volontà, espressa o tacita, del minore o dell'inabilitato.
Art. 121.
(Diritto di querela esercitato da un curatore speciale).
Se la persona offesa è minore degli anni quattordici o inferma di mente, e non v'è chi ne abbia la rappresentanza, ovvero chi l'esercita si trovi con la persona medesima in conflitto di interessi, il diritto di querela è esercitato da un curatore speciale.
Art. 122.
(Querela di uno fra più offesi).
Il reato commesso in danno di più persone, è punibile anche se la querela è proposta da una soltanto di esse.
Art. 123.
(Estensione della querela).
La querela si estende di diritto a tutti coloro che hanno commesso il reato.
Art. 124.
(Termine per proporre la querela. Rinuncia).
Salvo che la legge disponga altrimenti, il diritto di querela non può essere esercitato, decorsi tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato.
Il diritto di querela non può essere esercitato se vi è stata rinuncia espressa o tacita da parte di colui al quale ne spetta l'esercizio.
Vi è rinuncia tacita, quando chi ha facoltà di proporre querela ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di querelarsi.
La rinuncia si estende di diritto a tutti coloro che hanno commesso il reato.
Art. 125.
(Querela del minore o inabilitato nel caso di rinuncia del rappresentante).
La rinuncia alla facoltà di esercitare il diritto di querela, fatta dal genitore o dal tutore o dal curatore, non priva il minore, che ha compiuto gli anni quattordici, o l'inabilitato, del diritto di proporre querela.
Art. 126.
(Estinzione del diritto di querela).
Il diritto di querela si estingue con la morte della persona offesa.
Se la querela è stata già proposta, la morte della persona offesa non estingue il reato.
Art. 127.
(Richiesta di procedimento per offese al Re, al Reggente o a persone della famiglia Reale).
Salvo quanto è disposto nel titolo primo del libro secondo di questo codice, qualora un delitto punibile a querela della persona, offesa sia commesso in danno del re, o del reggente, o del principe ereditario, o di un'altra persona della famiglia reale, alla querela è sostituita la richiesta del Ministro della giustizia.
Art. 128.
(Termine per la richiesta di procedimento).
Quando la punibilità di un reato dipende dalla richiesta dell'Autorità, la richiesta non può essere più proposta, decorsi tre mesi dal giorno in cui l'Autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce il reato.
Quando la punibilità di un reato commesso all'estero dipende dalla presenza del colpevole nel territorio dello Stato, la richiesta non può essere più proposta, decorsi tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato.
Art. 129.
(Irrevocabilità ed estensione della richiesta).
La richiesta dell'Autorità è irrevocabile.
Le disposizioni degli
articoli 122 e 123
si applicano anche alla richiesta.
Art. 130.
(Istanza della persona offesa).
Quando la punibilità del reato dipende dall'istanza della persona offesa, l'istanza è regolata dalle disposizioni relative alla richiesta. Nondimeno, per quanto riguarda la capacità e la rappresentanza della persona offesa, si applicano le disposizioni relative alla querela.
Art. 131.
(Reato complesso. Procedibilità di ufficio).
Nei casi preveduti dall'articolo 84, per il reato complesso si procede sempre di ufficio, se per taluno dei reati, che ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti, si deve procedere di ufficio.
TITOLO V.
DELLA MODIFICAZIONE, APPLICAZIONE ED ESECUZIONE DELLA PENA.
CAPO I.
DELLA MODIFICAZIONE E APPLICAZIONE DELLA PENA.
Art. 132.
(Potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena: limiti).
Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente; esso deve indicare i motivi che giustificano l'uso di tal potere discrezionale.
Nell'aumento o nella diminuzione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvi i casi espressamente determinati dalla legge.
Art. 133.
(Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena).
Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione;
dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
dalle condizioni di vita individuale, famigliare e sociale del reo.
Art. 134.
(Computo delle pene).
Le pene temporanee si applicano a giorni, a mesi e ad anni.
Nelle condanne a pene temporanee non si tien conto delle frazioni di giorno, e, in quelle a pene pecuniarie, delle frazioni di lira.
Art. 135.
(Ragguaglio fra pene diverse).
Quando per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando cinquanta lire, o frazione di cinquanta lire, di pena pecuniaria, per un giorno di pena detentiva.
Art. 136.
(Conversione di pene pecuniarie).
Le pene della multa e dell'ammenda, non eseguite per insolvibilità del condannato, si convertono, rispettivamente, nella reclusione per non oltre tre anni e nell'arresto per non oltre due anni. In tali casi il limite minimo delle dette pene detentive può essere inferiore a quello stabilito negli
articoli 23 e 25
.
Il condannato può sempre far cessare la pena sostituita, pagando la multa o l'ammenda, dedotta la somma corrispondente alla durata della pena detentiva già sofferta.
Art. 137.
(Carcerazione preventiva).
La carcerazione sofferta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile si detrae dalla durata complessiva della pena temporanea detentiva o dall'ammontare della pena pecuniaria.
La carcerazione preventiva è considerata, agli effetti della detrazione, come reclusione od arresto.
Art. 138.
(Pena e carcerazione preventiva per reati commessi all'estero).
Quando il giudizio seguito all'estero è rinnovato nello Stato, la pena scontata all'estero è sempre computata, tenendo conto della specie di essa; e, se vi è stata all'estero carcerazione preventiva, si applicano le disposizioni dell'articolo precedente.
Art. 139.
(Computo delle pene accessorie).
Nel computo delle pene accessorie temporanee non si tien conto del tempo in cui il condannato sconta la pena detentiva, o è sottoposto a misura di sicurezza detentiva, né del tempo in cui egli si è sottratto volontariamente all'esecuzione della pena o delle misura di sicurezza.
Art 140.
(Applicazione provvisoria di pene accessorie).
Durante l'istruzione o il giudizio, il giudice può ordinare che l'imputato sia provvisoriamente sospeso dall'esercizio dei pubblici uffici, o di taluni fra essi, ovvero dall'esercizio di una professione o di un'arte, o della patria potestà o dell'Autorità, maritale, quando, avuto riguardo alla specie e alla gravità del reato, ritenga che possa essere inflitta una condanna che importa l'interdizione dai pubblici uffici, ovvero l'interdizione o la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte, ovvero la perdita o la sospensione dall'esercizio della patria potestà o dell'autorità maritale.
Il tempo della sospensione provvisoria è computato nella durata della pena accessoria.
CAPO II.
DELLA ESECUZIONE DELLA PENA.
Art. 141.
(Esecuzione delle pene detentive. Stabilimenti speciali).
Le pene detentive per i delitti si scontano in stabilimenti speciali, per ciascuna delle seguenti categorie di condannati:
delinquenti abituali o professionali o per tendenza;
condannati a pena diminuita per infermità psichica, o per sordomutismo, o per cronica intossicazione prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti; ubriachi abituali e persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti.
I condannati indicati nel numero 2° sono sottoposti, qualora occorra, anche a un regime di cura.
Se concorrono in uno stesso condannato condizioni personali diverse, il giudice stabilisce in quale degli stabilimenti speciali debba scontarsi la pena. La decisione può essere modificata durante l'esecuzione della pena.
La pena dell'arresto si sconta, dalle suindicate categorie di condannati e dai contravventori abituali o professionali, in sezioni speciali degli stabilimenti destinati alla esecuzione della pena predetta.
Le donne scontano la pena detentiva in stabilimenti distinti da quelli destinati agli uomini.
Art. 142.
(Esecuzione delle pene detentive inflitte a minori).
I minori scontano, fino al compimento degli anni diciotto, le pene detentive in stabilimenti separati da quelli destinati agli adulti, ovvero in sezioni separate di tali stabilimenti; ed è loro impartita, durante le ore non destinate al lavoro, un'istruzione diretta sopratutto alla rieducazione morale.
Possono essere ammessi ai lavori all'aperto, anche prima del termine stabilito nel primo capoverso dell'articolo 23.
Essi sono assegnati a stabilimenti speciali, nei casi indicati nei
numeri 1° e 2° dell'articolo precedente
.
Quando hanno compiuto gli anni diciotto, e la pena da scontare è superiore a tre anni, esso sono trasferiti negli stabilimenti destinati agli adulti.
Art. 143.
(Ripartizione dei condannati negli stabilimenti penitenziari).
In ogni stabilimento penitenziario, ordinario o speciale, si tien conto, nella ripartizione dei condannati, della recidiva e dell'indole del reato.
Art. 144.
(Vigilanza sull'esecuzione delle pene).
L'esecuzione delle pene detentive è vigilata dal giudice.
Egli delibera circa l'ammissione al lavoro all'aperto e dà parere sull'ammissione alla liberazione condizionale.
Art. 145.
(Remunerazione ai condannati per il lavoro prestato).
Negli stabilimenti penitenziari, ai condannati è corrisposta una remunerazione per il lavoro prestato.
Sulla remunerazione, salvo che l'adempimento delle obbligazioni sia altrimenti eseguito, sono prelevate nel seguente ordine:
le somme dovute a titolo di risarcimento del danno;
le spese che lo Stato sostiene per il mantenimento del condannato;
le somme dovute a titolo di rimborso delle spese del procedimento. In ogni caso, deve essere riservata a favore del condannato una quota pari a un terzo della remunerazione, a titolo di peculio. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a sequestro.
Art. 146.
(Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena).
L'esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita:
se deve aver luogo contro donna incinta;
se deve aver luogo contro donna che ha partorito da meno di sei mesi;
se è presentata domanda di grazia, e si tratta di condanna alla pena di morte.
Nel caso preveduto dal numero 2° il provvedimento è revocato, qualora il figlio muoia o sia affidato a persona diversa dalla madre, e il parto sia avvenuto da oltre due mesi.
Art. 147.
(Rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena).
L'esecuzione di una pena può essere differita:
se è presentata domanda di grazia, e l'esecuzione della pena non deve essere differita a norma dell'articolo precedente;
se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;
se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro donna, che ha partorito da più di sei mesi, ma da meno di un anno, e non vi è modo di affidare il figlio ad altri che alla madre.
Nel caso indicato nel numero 1°, l'esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore complessivamente a sei mesi, a decorrere dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata.
Nel caso indicato nel numero 3°, il provvedimento è revocato, qualora il figlio muoia o sia affidato ad altri che alla madre.
Art. 148.
(Infermità psichica sopravvenuta al condannato).
Se prima dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà, personale o durante l'esecuzione, sopravviene al condannato una infermità psichica, il giudice, qualora ritenga che l'infermità sia tale da impedire l'esecuzione della pena, ordina che questa sia differita o sospesa e che il condannato sia ricoverato in un manicomio giudiziario, ovvero in una casa di cura e di custodia. Il giudice può disporre che il condannato, invece che in un manicomio giudiziario, sia ricoverato in un manicomio comune, se la pena inflittagli sia inferiore a tre anni di reclusione o di arresto, e non si tratti di delinquente o contravventore abituale o professionale, o di delinquente per tendenza.
La disposizione precedente si applica anche nel caso in cui, per infermità psichica sopravvenuta, il condannato alla pena di morte deve essere ricoverato un un manicomio giudiziario.
Il provvedimento di ricovero è revocato, e il condannato è sottoposto all'esecuzione della pena, quando sono venute meno le ragioni che hanno determinato tale provvedimento.
Art. 149.
(Consiglio di patronato e cassa delle ammende).
Presso ciascun tribunale è costituito un consiglio di patronato, al quale sono conferite le attribuzioni seguenti:
prestare assistenza ai liberati dal carcere, agevolandoli, se occorre, nel trovare stabile lavoro;
prestare assistenza alle famiglie di coloro che sono detenuti, con ogni forma di soccorso e, eccezionalmente, anche con sussidi in denaro.
Alle spese necessarie per l'opera di assistenza dei consigli di patronato provvede la cassa delle ammende.
TITOLO VI.
DELLA ESTINZIONE DEL REATO E DELLA PENA.
CAPO I.
DELLA ESTINZIONE DEL REATO.
Art. 150.
(Morte del reo della condanna).
La morte del reo, sopravvenuta prima della condanna, estingue il reato.
Art. 151.
(Amnistia).
L'amnistia estingue il reato, e, se vi è stata condanna, fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie.
Nel concorso di più reati, l'amnistia si applica ai singoli reati per i quali è conceduta.
La estinzione del reato per effetto dell'amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa.
L'amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi.
L'amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99, ne ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza, salvo che il decreto disponga diversamente.
Art. 152.
(Remissione della querela).
Nei delitti punibili a querela della persona offesa, la remissione estingue il reato.
La remissione è processuale o estraprocessuale. La remissione estraprocessuale è espressa o tacita. Vi è remissione tacita, quando il querelante ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela.
La remissione può intervenire solo prima della condanna, salvi i casi per i quali la legge disponga altrimenti.
La remissione non può essere sottoposta a termini o a condizioni. Nell'atto di remissione può essere fatta rinuncia al diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno.
Art. 153.
(Esercizio del diritto di remissione. Incapaci).
Per i minori degli anni quattordici e per gli interdetti a cagione di infermità di mente, il diritto di remissione è esercitato dal loro legale rappresentante.
I minori, che hanno compiuto gli anni quattordici, e gli inabilitati possono esercitare il diritto di remissione, anche quando la querela è stata proposta dal rappresentante, ma, in ogni caso, la remissione non ha effetto senza l'approvazione di questo.
Il rappresentante può rimettere la querela proposta da lui o dal rappresentato, ma la remissione non ha effetto, se questi manifesta volontà contraria.
Le disposizioni dei capoversi precedenti si applicano anche nel caso in cui il minore raggiunge gli anni quattordici, dopo che è stata proposta la querela.
Art. 154.
(Più querelanti: remissione di uno solo).
Se la querela è stata proposta da più persone, il reato non si estingue se non interviene la remissione di tutti i querelanti.
Se tra più persone offese da un reato taluna soltanto ha proposto querela, la remissione, che questa ha fatto, non pregiudica il diritto di querela delle altre.
Art. 155.
(Accettazione della remissione).
La remissione non produce effetto, se il querelato l'ha espressamente o tacitamente ricusata. Vi è ricusa tacita quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione.
La remissione fatta a favore anche di uno soltanto fra coloro che hanno commesso il reato si estende a tutti, ma non produce effetto per chi l'abbia ricusata.
Per quanto riguarda la capacità di accettare la remissione, si osservano le disposizioni dell'articolo 153.
Se il querelato è un minore o un infermo di mente, e nessuno ne ha la rappresentanza, ovvero chi la esercita si trova con esso in conflitto di interessi, la facoltà di accettare la remissione è esercitata da un curatore speciale.
Art. 156.
(Estinzione del diritto di remissione).
Il diritto di remissione si estingue con la morte della persona offesa dal reato.
Art. 157.
(Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere).
La prescrizione estingue il reato:
in venti anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni;
in quindici anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni;
in dieci anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni;
in cinque anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a cinque anni, o la pena della multa;
in tre anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell'arresto;
in diciotto mesi, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell'ammenda.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell'aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti.
Nel caso di concorso di circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti si applicano anche a tale effetto le disposizioni dell'articolo 69.
Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e quella pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.
Art. 158.
(Decorrenza del termine della prescrizione).
Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l'attività del colpevole; per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione
Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata. Nondimeno, nei reati punibili a querela, istanza o richiesta, il termine della prescrizione decorre dal giorno del commesso reato.
Art. 159.
(Sospensione del corso della prescrizione).
Il corso della prescrizione rimane sospeso nei casi di autorizzazione a procedere, o di questione deferita ad altro giudizio, e in ogni caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge.
La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.
Art. 160.
(Interruzione del corso della prescrizione).
Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.
Interrompono pure la prescrizione il mandato o l'ordine di cattura o di arresto, di comparizione o di accompagnamento, l'interrogatorio reso dinanzi l'Autorità giudiziaria, la sentenza di rinvio al giudizio e il decreto di citazione per il giudizio.
La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157, possono essere prolungati oltre la metà.
Art. 161.
(Effetti della sospensione e della interruzione).
La sospensione o la interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato.
Quando per più reati connessi si procede congiuntamente, la sospensione o la interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri.
Art. 162.
(Oblazione nelle contravvenzioni).
Nelle contravvenzioni, per le quali la legge stabilisce la sola pena dell'ammenda non superiore a lire diecimila, il contravventore è ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.
Il pagamento estingue il reato.
Art. 163.
(Sospensione condizionale della pena).
Nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore ad un anno, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e convertita a norma di legge, priverebbe della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, ad un anno, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto, e di due anni se la condanna è per contravvenzione.
Se il reato è stato commesso da un minore degli anni diciotto, o da chi ha compiuto gli anni settanta, la sospensione può essere ordinata quando si debba infliggere una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e convertita a norma di legge, priverebbe della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni.
Art. 164.
(Limiti entro i quali è ammessa la sospensione condizionale della pena).
La sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.
La sospensione condizionale della pena non può essere conceduta:
a chi ha riportata una precedente condanna per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, né al delinquente o contravventore abituale o professionale, e al delinquente per tendenza;
allorchè alla pena inflitta deve essere aggiunta una misura di sicurezza personale, perché il reo è persona che la legge presume socialmente pericolosa.
La sospensione condizionale della pena rende inapplicabili le misure di sicurezza, tranne che si tratti della confisca.
La sospensione condizionale della pena non può essere conceduta più di una volta.
Art. 165.
(Obblighi del condannato).
La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso, e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno.
Il giudice, nella sentenza, stabilisce il termine entro cui gli obblighi debbono essere adempiuti.
Art. 166.
(Effetti della sospensione).
La sospensione condizionale della pena non si estende alle pene accessorie e agli altri effetti penali della condanna, né alle obbligazioni civili derivanti dal reato.
Art. 167.
(Estinzione del reato).
Se, nei termini stabiliti, il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempie gli obblighi impostigli, il reato è estinto. In tal caso non ha luogo l'esecuzione della pena e cessa l'esecuzione delle pene accessorie.
Art. 168.
(Revoca della sospensione).
La sospensione condizionale della pena è revocata di diritto qualora, nei termini stabiliti, il condannato:
commetta un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, o non adempia gli obblighi impostigli;
riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso.
Qualora il condannato riporti un'altra condanna per una contravvenzione della stessa indole, anteriormente commessa, il giudice, tenuto conto dell'indole e della gravità di essa, può revocare l'ordine di sospensione condizionale della pena.
Art. 169.
(Perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto).
Se, per il reato commesso dal minore degli anni diciotto, la legge stabilisce una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a lire diecimila, anche se congiunta a detta pena, il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio al giudizio, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133, presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Qualora si proceda al giudizio, il giudice può, nella sentenza, per gli stessi motivi, astenersi dal pronunciare condanna.
Le disposizioni precedenti non si applicano nei casi preveduti dal numero 1° del primo capoverso dell'articolo 164.
Il perdono giudiziale non può essere conceduto più di una volta.
Art. 170.
(Estinzione di un reato che sia presupposto, elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato).
Quando un reato è il presupposto di un altro reato, la causa che lo estingue non si estende all'altro reato.
La causa estintiva di un reato, che è elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato complesso, non si estende al reato complesso.
L'estinzione di taluno fra più reati connessi non esclude, per gli altri, l'aggravamento di pena derivante dalla connessione.
CAPO II.
DELLA ESTINZIONE DELLA PENA.
Art. 171.
(Morte del reo dopo la condanna).
La morte del reo, avvenuta dopo la condanna, estingue la pena.
Art. 172.
(Estinzione delle pene della reclusione e della multa per decorso del tempo).
La pena della reclusione si estingue col decorso di un tempo pari al doppio della pena inflitta, e in ogni caso, non superiore a trenta e non inferiore a dieci anni.
La pena della multa si estingue nel termine di dieci anni.
Quando, congiuntamente alla pena della reclusione, è inflitta la pena della multa, per l'estinzione dell'una e dell'altra pena si ha riguardo soltanto al decorso del tempo stabilito per la reclusione.
Il termine decorre dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile, ovvero dal giorno in cui il condannato si è sottratto volontariamente alla esecuzione già iniziata della pena.
Se l'esecuzione della pena è subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, il tempo necessario per la estinzione della pena decorre dal giorno in cui il termine è scaduto o la condizione si è verificata.
Nel caso di concorso di reati si ha riguardo, per l'estinzione della pena, a ciascuno di essi, anche se le pene sono state inflitte con la medesima sentenza.
L'estinzione delle pene non ha luogo, se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99, o di delinquenti abituali, professionali o per tendenza; ovvero, se il condannato, durante il tempo necessario per l'estinzione della pena, riporta una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole.
Art. 173.
(Estinzione delle pene dell'arresto e dell'ammenda per decorso del tempo).
Le pene dell'arresto e dell'ammenda si estinguono nel termine di cinque anni. Tale termine è raddoppiato se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99, ovvero di delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Se, congiuntamente alla pena dell'arresto, è inflitta la pena dell'ammenda, per l'estinzione dell'una e dell'altra pena si ha riguardo soltanto al decorso del termine stabilito per l'arresto.
Per la decorrenza del termine si applicano le disposizioni del terzo,
quarto e quinto capoverso dell'articolo precedente
.
Art. 174.
(Indulto e grazia).
L'indulto o la grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta, o la commuta in un'altra specie di pena stabilita dalla legge. Non estingue le pene accessorie, salvo che il decreto disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna.
Nel concorso di più reati, l'indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso dei reati.
Si osservano, per l'indulto, le disposizioni contenute nei tre ultimi capoversi dell'articolo 151.
Art. 175.
(Non menzione della condanna nel certificato del casellario).
Se, con una prima condanna, è inflitta una pena pecuniaria non superiore a lire ventimila, ovvero una pena detentiva non superiore a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria non eccedente la misura anzidetta, il giudice, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133, può nella sentenza ordinare che non sia fatta menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati, non per ragione di diritto elettorale.
Se il condannato commette successivamente un delitto, l'ordine di non fare menzione della condanna precedente è revocato.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano quando alla condanna conseguono pene accessorie.
Art. 176.
(Liberazione condizionale).
Il condannato a pena detentiva per un tempo superiore a cinque anni, il quale abbia scontato metà della pena, o almeno tre quarti se è recidivo, e abbia dato prove costanti di buona condotta, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se il rimanente della pena non supera i cinque anni.
La concessione della liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle.
La liberazione condizionale non è consentita se il condannato, dopo scontata la pena, deve essere sottoposto a una misura di sicurezza detentiva.
Art. 177.
(Revoca della liberazione condizionale o estinzione della pena).
La liberazione condizionale è revocata, se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, disposta a termini dell'articolo 230, numero 2°. In tal caso, il tempo trascorso in libertà condizionale non è computato nella durata della pena e il condannato non può essere riammesso alla liberazione condizionale.
Decorso tutto il tempo della pena inflitta, senza che sia intervenuta alcuna causa di revoca della liberazione condizionale, la pena rimane estinta e sono revocate le misure di sicurezza personali, ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con un provvedimento successivo.
Art. 178.
(Riabilitazione).
La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti.
Art. 179.
(Condizioni per la riabilitazione).
La riabilitazione è conceduta quando siano decorsi cinque anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o siasi in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.
Il termine è di dieci anni se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99.
Il termine è, parimenti, di dieci anni se si tratta di delinquenti abituali, professionali o per tendenza e decorre dal giorno in cui sia stato revocato l'ordine di assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro.
La riabilitazione non può essere conceduta quanto il condannato:
sia stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato;
non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle.
Art. 180.
(Revoca della sentenza di riabilitazione).
La sentenza di riabilitazione è revocata di diritto se la persona riabilitata commette entro cinque anni un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a tre anni, od un'altra pena più grave.
Art. 181.
(Riabilitazione nel caso di condanna all'estero).
Le disposizioni relative alla riabilitazione si applicano anche nel caso di sentenze straniere di condanna, riconosciute a norma dell'articolo 12.
CAPO III.
DISPOSIZIONI COMUNI.
Art. 182.
(Effetti delle cause di estinzione del reato o della pena).
Salvo che la legge disponga altrimenti, l'estinzione del reato o della pena ha effetto soltanto per coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce.
Art. 183.
(Concorso di cause estintive).
Le cause di estinzione del reato o della pena operano nel momento in cui esse intervengono.
Nel concorso di una causa che estingue il reato con una causa che estingue la pena, prevale la causa che estingue il reato, anche se è intervenuta successivamente.
Quando intervengono in tempi diversi più cause di estinzione del reato o della pena, la causa antecedente estingue il reato o la pena, e quelle successive fanno cessare gli effetti che non siano ancora estinti in conseguenza della causa antecedente.
Se più cause intervengono contemporaneamente, la causa più favorevole opera l'estinzione del reato o della pena; ma anche in tal caso, per gli effetti che non siano estinti in conseguenza della causa più favorevole, si applica il capoverso precedente.
Art. 184.
(Estinzione della pena di morte, dell'ergastolo o di pene temporanee nel caso di concorso di reati).
Quando, per effetto di amnistia, indulto o grazia, la pena di morte o dell'ergastolo è estinta, la pena detentiva temporanea, inflitta per il reato concorrente, è eseguita per intero. Nondimeno, se il condannato ha già interamente subito l'isolamento diurno, applicato a norma del capoverso dell'articolo 72, la pena per il reato concorrente è ridotta alla metà; ed è estinta, se il condannato è stato detenuto per oltre trenta anni.
Se, per effetto di alcuna delle dette cause estintive non deve essere scontata la pena detentiva temporanea inflitta, per il reato concorrente, al condannato all'ergastolo, non si applica l'isolamento diurno, stabilito nel capoverso dell'articolo 72. Se la pena detentiva deve essere scontata solo in parte, il periodo dell'isolamento diurno, applicato a norma del predetto articolo, può essere ridotto fino a tre mesi.
TITOLO VII.
DELLE SANZIONI CIVILI.
Art. 185.
(Restituzioni e risarcimento del danno).
Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili.
Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui.
Art. 186.
(Riparazione del danno mediante pubblicazione della sentenza di condanna).
Oltre quanto è prescritto nell'articolo precedente e in altre disposizioni di legge, ogni reato obbliga il colpevole alla pubblicazione, a sue spese, della sentenza di condanna, qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato.
Art. 187.
(Indivisibilità e solidarietà nelle obbligazioni ex delicto).
L'obbligo alle restituzioni e alla pubblicazione della sentenza penale di condanna è indivisibile.
I condannati per uno stesso reato sono obbligati in solido al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale.
Art. 188.
(Spese per il mantenimento del condannato. Obbligo di rimborso).
Il condannato è obbligato a rimborsare all'erario dello Stato le spese per il suo mantenimento negli stabilimenti di pena, e risponde di tale obbligazione con tutti i suoi beni mobili e immobili, presenti e futuri, a norma delle leggi civili.
L'obbligazione non si estende alla persona civilmente responsabile, e non si trasmette agli eredi del condannato.
Art. 189.
(Ipoteca legale; sequestro).
Lo Stato ha ipoteca legale sui beni dell'imputato a garanzia del pagamento:
delle pene pecuniarie e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato;
delle spese del procedimento;
delle spese relative al mantenimento del condannato negli stabilimenti di pena;
delle spese sostenute da un pubblico istituto sanitario, a titolo di cura e di alimenti per la persona offesa, durante l'infermità;
delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno, comprese le spese processuali;
delle spese anticipate dal difensore e delle somme a lui dovute a titolo di onorario.
L'ipoteca legale non pregiudica il diritto degli interessati a iscrivere ipoteca giudiziale, dopo la sentenza di condanna, anche se non divenuta irrevocabile.
Se vi è fondata ragione di temere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni per le quali è ammessa l'ipoteca legale, può essere ordinato il sequestro dei beni mobili dell'imputato.
Gli effetti dell'ipoteca o del sequestro cessano con la sentenza irrevocabile di proscioglimento.
Se l'imputato offre cauzione, può non farsi luogo alla iscrizione dell'ipoteca legale o al sequestro.
Per effetto del sequestro i crediti indicati in questo articolo si considerano privilegiati rispetto ad ogni altro credito non privilegiato di data anteriore e ai crediti sorti posteriormente, salvi, in ogni caso, i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento di tributi.
Art. 190.
(Garanzie sui beni della persona civilmente responsabile).
Le garanzie stabilite nell'articolo precedente si estendono anche ai beni della persona civilmente responsabile, limitatamente ai crediti indicati nei
numeri 2°, 4° e 5°
del predetto articolo, qualora, per la ipoteca legale, sussistano le condizioni richieste per la iscrizione sui beni dell'imputato, e qualora, per il sequestro, concorrano, riguardo alla persona civilmente responsabile, le circostanze indicate nel secondo capoverso dell'articolo precedente.
Art. 191.
(Ordine dei crediti garantiti con ipoteca o sequestro).
Sul prezzo degli immobili ipotecati e dei mobili sequestrati a norma dei due articoli precedenti, e sulle somme versate a titolo di cauzione e non devolute alla cassa delle ammende, sono pagate nell'ordine seguente:
le spese sostenute da un pubblico istituto sanitario, a titolo di cura e di alimenti per la persona offesa, durante l'infermità;
le somme dovute a titolo di risarcimento di danni e di spese processuali al danneggiato, purché il pagamento ne sia richiesto entro un anno dal giorno in cui la sentenza penale di condanna sia divenuta irrevocabile;
le spese anticipate dal difensore del condannato e la somma a lui dovuta a titolo di onorario;
le spese del procedimento;
le spese per il mantenimento del condannato negli stabilimenti di pena. Se la esecuzione della pena non ha ancora avuto luogo, in tutto o in parte, è depositata nella cassa delle ammende una somma presumibilmente adeguata alle spese predette;
le pene pecuniarie e ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato.
Art. 192.
(Atti a titolo gratuito compiuti dal colpevole dopo il reato).
Gli atti a titolo gratuito, compiuti dal colpevole dopo il reato, non hanno efficacia rispetto ai crediti indicati nell'articolo 189.
Art. 193.
(Atti a titolo oneroso compiuti dal colpevole dopo il reato).
Gli atti a titolo oneroso, eccedenti la semplice amministrazione ovvero la gestione dell'ordinario commercio, i quali siano compiuti dal colpevole dopo il reato, si presumono fatti in frode rispetto ai crediti indicati nell'articolo 189.
Nondimeno, per la revoca dell'atto, è necessaria la prova della mala fede dell'altro contraente.
Art. 194.
(Atti a titolo oneroso o gratuito compiuti dal colpevole prima del reato).
Gli atti a titolo gratuito, compiuti dal colpevole prima del reato, non sono efficaci rispetto ai crediti indicati nell'articolo 189, qualora si provi che furono da lui compiuti in frode.
La stessa disposizione si applica agli atti a titolo oneroso eccedenti la semplice amministrazione ovvero la gestione dell'ordinario commercio; nondimeno, per la revoca dell'atto a titolo oneroso, è necessaria la prova anche della mala fede dell'altro contraente.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano per gli atti anteriori di un anno al commesso reato.
Art. 195.
(Diritti dei terzi).
Nei casi preveduti dai tre articoli precedenti, i diritti dei terzi sono regolati dalle leggi civili.
Art. 196.
(Obbligazione civile per le ammende inflitte a persona dipendente).
Nelle contravvenzioni commesse da chi è soggetto all'altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dell'Autorità, o incaricata della direzione o vigilanza, è obbligata, in caso d'insolvibilità del condannato, al pagamento di una somma pari all'ammontare dell'ammenda inflitta al colpevole, se si tratta di contravvenzione a disposizioni che essa era tenuta a far osservare, e della quale non debba rispondere penalmente.
Qualora anche la persona preposta risulti insolvibile, si applicano al condannato le disposizioni dell'articolo 136.
Art. 197.
(Obbligazione civile delle persone giuridiche per il pagamento delle ammende).
Gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato, le Provincie e i Comuni, qualora sia pronunciata una condanna per contravvenzione contro che ne abbia la rappresentanza o l'amministrazione, o sia con essi in rapporto di dipendenza, e si tratti di contravvenzione che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, sono obbligati al pagamento, in caso d'insolvibilità del condannato, di una somma pari all'ammontare dell'ammenda inflitta.
Se tale obbligazione non può essere adempiuta, si applicano al condannato le disposizioni dell'articolo 136.
Art. 198.
(Effetti dell'estinzione del reato o della pena sulle obbligazioni civili).
L'estinzione del reato o della pena non importa la estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che si tratti delle obbligazioni indicate nei due articoli precedenti.
TITOLO VIII.
DELLE MISURE AMMINISTRATIVE DI SICUREZZA.
CAPO I.
DELLE MISURE DI SICUREZZA PERSONALI.
SEZIONE I.
DISPOSIZIONI GENERALI.
Art. 199.
(Sottoposizione a misure di sicurezza: disposizione espressa di legge).
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti.
Art. 200.
(Applicabilità delle misure di sicurezza rispetto al tempo, al territorio e alle persone).
Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione.
Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo della esecuzione.
Le misure di sicurezza si applicano anche agli stranieri, che si trovano nel territorio dello Stato.
Tuttavia l'applicazione di misure di sicurezza allo straniero non impedisce l'espulsione di lui dal territorio dello Stato, a norma delle leggi di pubblica sicurezza.
Art. 201.
(Misure di sicurezza per fatti commessi all'estero).
Quando, per un fatto commesso all'estero, si procede o si rinnova il giudizio nello Stato, è applicabile la legge italiana anche riguardo alle misure di sicurezza.
Nel caso indicato nell'articolo 12, numero 3°, l'applicazione delle misure di sicurezza stabilite dalla legge italiana è sempre subordinata all'accertamento che la persona sia socialmente pericolosa.
Art. 202.
(Applicabilità delle misure di sicurezza).
Le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato.
La legge penale determina i casi nei quali a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato.
Art. 203.
(Pericolosità sociale).
Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell'articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati.
La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell'articolo 133.
Art. 204.
(Accertamento di pericolosità. Pericolosità sociale presunta).
Le misure di sicurezza sono ordinate, previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa.
Nei casi espressamente determinati, la qualità di persona socialmente pericolosa è presunta dalla legge. Nondimeno, anche in tali casi, l'applicazione delle misure di sicurezza è subordinata all'accertamento di tale qualità, se la condanna o il proscioglimento è pronunciato:
dopo dieci anni dal giorno in cui è stato commesso il fatto, qualora si tratti di infermi di mente, nei casi preveduti dal primo capoverso dell'articolo 219 e dell'articolo 222;
dopo cinque anni dal giorno in cui è stato commesso il fatto, in ogni altro caso.
È altresì subordinata all'accertamento della qualità di persona socialmente pericolosa la esecuzione, non ancora iniziata, delle misure di sicurezza aggiunte a pena non detentiva, ovvero concernenti imputati prosciolti, se, dalla data della sentenza di condanna o di proscioglimento, sono decorsi dieci anni nel caso preveduto dal primo capoverso dell'articolo 222, ovvero cinque anni in ogni altro caso.
Art. 205.
(Provvedimento del giudice).
Le misure di sicurezza sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di proscioglimento.
Possono essere ordinate con provvedimento successivo:
nel caso di condanna, durante l'esecuzione della pena o durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena;
nel caso di proscioglimento, qualora la qualità di persona socialmente pericolosa sia presunta, e non sia decorso un tempo corrispondente alla durata minima della relativa misura di sicurezza;
in ogni tempo, nei casi stabiliti dalla legge.
Art. 206.
(Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza).
Durante l'istruzione o il giudizio, può disporsi che il minore di età, o l'infermo di mente, o l'ubriaco abituale, o la persona dedita all'uso di sostanze stupefacenti, o in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti, siano provvisoriamente ricoverati in un riformatorio o in un manicomio giudiziario, o in una casa di cura e di custodia.
Il giudice revoca l'ordine, quando ritenga che tali persone non siano più socialmente pericolose.
Il tempo dell'esecuzione provvisoria della misura di sicurezza è computato nella durata minima di essa.
Art. 207.
(Revoca delle misure di sicurezza personali).
Le misure di sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose.
La revoca non può essere ordinata se non è decorso un tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge per ciascuna misura di sicurezza.
Anche prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge, la misura di sicurezza applicata dal giudice può essere revocata con decreto del Ministro della giustizia.
Art. 208.
(Riesame della pericolosità).
Decorso il periodo minimo di durata, stabilito dalla legge per ciascuna misura di sicurezza, il giudice riprende in esame le condizioni della persona che vi è sottoposta, per stabilire se essa è ancora socialmente pericolosa.
Qualora la persona risulti ancora pericolosa, il giudice fissa un nuovo termine per un esame ulteriore. Nondimeno, quando vi sia ragione di ritenere che il pericolo sia cessato, il giudice può, in ogni tempo, procedere a nuovi accertamenti.
Art. 209.
(Persona giudicata per più fatti).
Quando una persona ha commesso, anche in tempi diversi, più fatti per i quali siano applicabili più misure di sicurezza della medesima specie, è ordinata una sola misura di sicurezza.
Se le misure di sicurezza sono di specie diversa, il giudice valuta complessivamente il pericolo che deriva dalla persona e, in relazione ad esso, applica una o più delle misure di sicurezza stabilite dalla legge.
Sono in ogni caso applicate le misure di sicurezza detentive, alle quali debba essere sottoposta la persona, a cagione del pericolo presunto dalla legge.
Le disposizioni precedenti si applicano anche nel caso di misure di sicurezza in corso di esecuzione, o delle quali non siasi ancora iniziata l'esecuzione.
Art. 210.
(Effetti della estinzione del reato o della pena).
L'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione.
L'estinzione della pena impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza, eccetto quelle per le quali la legge stabilisce che possono essere ordinate in ogni tempo, ma non impedisce l'esecuzione delle misure di sicurezza che sono state già ordinate dal giudice come misure accessorie di una condanna alla pena della reclusione superiore a dieci anni. Nondimeno, alla colonia agricola e alla casa di lavoro è sostituita la libertà vigilata.
Qualora per effetto di indulto o di grazia non debba essere eseguita la pena di morte, ovvero, in tutto o in parte, la pena dell'ergastolo, il condannato è sottoposto a libertà vigilata per un tempo non inferiore a tre anni.
Art. 211.
(Esecuzione delle misure di sicurezza).
Le misure di sicurezza aggiunte a una pena detentiva sono eseguite dopo che la pena è stata scontata o è altrimenti estinta.
Le misure di sicurezza, aggiunte a pena non detentiva, sono eseguite dopo che la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile.
L'esecuzione delle misure di sicurezza temporanee non detentive, aggiunte a misure di sicurezza detentive, ha luogo dopo la esecuzione di queste ultime.
Art. 212.
(Casi di sospensione o di trasformazione di misure di sicurezza).
L'esecuzione di una misura di sicurezza applicata a persona imputabile è sospesa se questa deve scontare una pena detentiva, e riprende il suo corso dopo l'esecuzione della pena.
Se la persona sottoposta a una misura di sicurezza detentiva è colpita da un'infermità psichica, il giudice ne ordina il ricovero in un manicomio giudiziario, ovvero in una casa di cura e di custodia.
Quando sia cessata la infermità, il giudice, accertato che la persona è socialmente pericolosa, ordina che essa sia assegnata ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro, ovvero a un riformatorio giudiziario, se non crede di sottoporla a libertà vigilata.
Se l'infermità psichica colpisce persona sottoposta a misura di sicurezza non detentiva o a cauzione di buona condotta, e l'infermo viene ricoverato in un manicomio comune, cessa l'esecuzione di dette misure. Nondimeno, se si tratta di persona sottoposta a misura di sicurezza personale non detentiva, il giudice, cessata l'infermità, procede a nuovo accertamento ed applica una misura di sicurezza personale non detentiva qualora la persona risulti ancora pericolosa.
Art. 213.
(Stabilimenti destinati alla esecuzione delle misure di sicurezza detentive. Regime educativo, curativo e di lavoro).
Le misure di sicurezza detentive sono eseguite negli stabilimenti a ciò destinati.
Le donne sono assegnate a stabilimenti separati da quelli destinati agli uomini.
In ciascuno degli stabilimenti è adottato un particolare regime educativo o curativo e di lavoro, avuto riguardo alle tendenze e alle abitudini criminose della persona e, in genere, al pericolo sociale che da essa deriva.
Il lavoro è remunerato. Dalla remunerazione è prelevata una quota per il rimborso delle spese di mantenimento.
Per quanto concerne il mantenimento dei ricoverati nei manicomi giudiziari, si osservano le disposizioni sul rimborso delle spese di spedalità.
Art. 214.
(Inosservanza delle misure di sicurezza detentive).
Nel caso in cui la persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva si sottrae volontariamente alla esecuzione di essa, ricomincia a decorrere il periodo minimo di durata della misura di sicurezza dal giorno in cui a questa è data nuovamente esecuzione.
Tale disposizione non si applica nel caso di persona ricoverata in un manicomio giudiziario o di una casa di cura e di custodia.
SEZIONE II.
DISPOSIZIONI SPECIALI.
Art. 215.
(Specie).
Le misure di sicurezza personali si distinguono in detentive e non detentive.
Sono misure di sicurezza detentive:
l'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro;
il ricovero in una casa di cura o di custodia;
il ricovero in un manicomio giudiziario;
il ricovero in un riformatorio giudiziario.
Sono misure di sicurezza non detentive:
la libertà vigilata;
il divieto di soggiorno in uno o più Comuni, o in una o più Provincie;
il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche;
l'espulsione dello straniero dallo Stato.
Quando la legge stabilisce una misura di sicurezza senza indicarne la specie, il giudice dispone che si applichi la libertà vigilata, a meno che, trattandosi di un condannato per delitto, ritenga di disporre l'assegnazione di lui ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro.
Art. 216.
(Assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro).
Sono assegnati ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro:
coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali, o per tendenza;
coloro che, essendo stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, e non essendo più sottoposti a misura di sicurezza, commettono un nuovo delitto, non colposo, che sia nuova manifestazione della abitualità, della professionalità o della tendenza a delinquere;
le persone condannate o prosciolte, negli altri casi indicati espressamente nella legge.
Art. 217.
(Durata minima).
L'assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro ha la durata minima di un anno. Per i delinquenti abituali, la durata minima è di due anni, per i delinquenti professionali è di tre anni, ed è di quattro anni per i delinquenti per tendenza.
Art. 218.
(Esecuzione).
Nelle colonie agricole e nelle case di lavoro i delinquenti abituali o professionali e quelli per tendenza, sono assegnati a sezioni speciali.
Il giudice stabilisce se la misura di sicurezza debba essere eseguita in una colonia agricola, ovvero in una casa di lavoro, tenuto conto delle condizioni e attitudini della persona a cui il provvedimento si riferisce. Il provvedimento può essere modificato nel corso della esecuzione.
Art. 219.
(Assegnazione a una casa di cura e di custodia).
Il condannato, per delitto non colposo, a una pena diminuita per cagione di infermità psichica o di cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per cagione di sordomutismo, è ricoverato in una casa di cura e di custodia, per un tempo non inferiore a un anno, quando la pena stabilita dalla legge non è inferiore nel minimo a cinque anni di reclusione.
Se per il delitto commesso è stabilita dalla legge la pena di morte o la pena dell'ergastolo, ovvero la reclusione non inferiore nel minimo a dieci anni, la misura di sicurezza è ordinata per un tempo non inferiore a tre anni.
Se si tratta di un altro reato, per il quale la legge stabilisce la pena detentiva, e risulta che il condannato è persona socialmente pericolosa, il ricovero in una casa di cura e di custodia è ordinato per un tempo non inferiore a sei mesi; tuttavia il giudice può sostituire alla misura del ricovero quella della libertà vigilata. Tale sostituzione non ha luogo, qualora si tratti di condannati a pena diminuita per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti.
Quando deve essere ordinato il ricovero in una casa di cura e di custodia, non si applica altra misura di sicurezza detentiva.
Art. 220.
(Esecuzione dell'ordine di ricovero).
L'ordine di ricovero del condannato nella casa di cura e di custodia è eseguito dopo che la pena restrittiva della libertà personale sia stata scontata o sia altrimenti estinta.
Il giudice, nondimeno, tenuto conto delle particolari condizioni d'infermità psichica del condannato, può disporre che il ricovero venga eseguito prima che sia iniziata o abbia termine la esecuzione della pena restrittiva della libertà personale.
Il provvedimento è revocato quando siano venute meno le ragioni che lo determinarono, ma non prima che sia decorso il termine minimo stabilito nell'articolo precedente.
Il condannato, dimesso dalla casa di cura e di custodia, è sottoposto all'esecuzione della pena.
Art. 221.
(Ubriachi abituali).
Quando non debba essere ordinata altra misura di sicurezza detentiva, i condannati alla reclusione per delitti commessi in stato di ubriachezza, qualora questa sia abituale, o per delitti commessi sotto l'azione di sostanze stupefacenti all'uso delle quali siano dediti, sono ricoverati in una casa di cura e di custodia.
Tuttavia, se si tratta di delitti per i quali sia stata inflitta la reclusione per un tempo non inferiore a tre anni, al ricovero in una casa di cura e di custodia può essere sostituita la libertà vigilata.
Il ricovero ha luogo in sezioni speciali, e ha la durata minima di sei mesi.
Art. 222.
(Ricovero in un manicomio giudiziario).
Nel caso di proscioglimento per infermità psichica, ovvero per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per sordomutismo, è sempre ordinato il ricovero dell'imputato in un manicomio giudiziario per un tempo non inferiore a due anni; salvo che si tratti di contravvenzioni o di delitti colposi o di altri delitti per i quali la legge stabilisce la pena pecuniaria o la reclusione per un tempo non superiore nel massimo a due anni, nei quali casi la sentenza di proscioglimento è comunicata all'Autorità di pubblica sicurezza.
La durata minima del ricovero nel manicomio giudiziario è di dieci anni, se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena di morte o l'ergastolo, ovvero di cinque, se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena della reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a dieci anni.
Nel caso in cui la persona ricoverata in un manicomio giudiziario debba scontare una pena restrittiva della libertà personale, l'esecuzione di questa è differita fino a che perduri il ricovero nel manicomio.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai minori degli anni quattordici o maggiori dei quattordici e minori dei diciotto, prosciolti per ragione di età, quando abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato, trovandosi in alcuna delle condizioni indicate nella prima parte dell'articolo stesso.
Art. 223.
(Ricovero dei minori in un riformatorio giudiziario).
Il ricovero in un riformatorio giudiziario è misura di sicurezza speciale per i minori, e non può avere durata inferiore a un anno.
Qualora tale misura di sicurezza debba essere, in tutto o in parte, applicata o eseguita dopo che il minore abbia compiuto gli anni ventuno, ad essa è sostituita la libertà vigilata, salvo che il giudice ritenga di ordinare l'assegnazione a una colonia agricola, o ad una casa di lavoro.
Art. 224.
(Minore non imputabile).
Qualora il fatto commesso da un minore degli anni quattordici sia preveduto dalla legge come delitto, ed egli sia pericoloso, il giudice, tenuto specialmente conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è vissuto, ordina che questi sia ricoverato nel riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata.
Se, per il delitto, la legge stabilisce la pena di morte, o l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, e non si tratta di delitto colposo, è sempre ordinato il ricovero del minore nel riformatorio per un tempo non inferiore a tre anni.
Le disposizioni precedenti si applicano anche al minore che, nel momento in cui ha commesso il fatto preveduto dalla legge come delitto, aveva compiuto gli anni quattordici, ma non ancora i diciotto, se egli sia riconosciuto non imputabile, a norma dell'articolo 98.
Art. 225.
(Minore imputabile).
Quando il minore che ha compiuto gli anni quattordici, ma non ancora i diciotto, sia riconosciuto imputabile, il giudice può ordinare che, dopo l'esecuzione della pena, egli sia ricoverato in un riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata, tenuto conto delle circostanze indicate nella prima parte dell'articolo precedente.
È sempre applicata una delle predette misure di sicurezza al minore che sia condannato per delitto durante la esecuzione di una misura di sicurezza, a lui precedentemente applicata per difetto d'imputabilità.
Art. 226.
(Minore delinquente abituale, professionale o per tendenza).
Il ricovero in un riformatorio giudiziario è sempre ordinato per il minore degli anni diciotto, che sia delinquente abituale o professionale, ovvero delinquente per tendenza; e non può avere durata inferiore a tre anni. Quando egli ha compiuto gli anni ventuno, il giudice ne ordina l'assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro.
La legge determina gli altri casi nei quali deve essere ordinato il ricovero del minore in un riformatorio giudiziario.
Art. 227.
(Riformatori speciali).
Quando la legge stabilisce che il ricovero in un riformatorio giudiziario sia ordinato senza che occorra accertare che il minore è socialmente pericoloso, questi è assegnato ad uno stabilimento speciale o ad una sezione speciale degli stabilimenti ordinari.
Può altresì essere assegnato ad uno stabilimento speciale o ad una sezione speciale degli stabilimenti ordinari il minore che, durante il ricovero nello stabilimento ordinario, si sia rivelato particolarmente pericoloso.
Art. 228.
(Libertà vigilata).
La sorveglianza della persona in stato di libertà vigilata è affidata all'Autorità di pubblica sicurezza.
Alla persona in stato di libertà vigilata sono imposte dal giudice prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati.
Tali prescrizioni possono essere dal giudice successivamente modificate o limitate.
La sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale.
La libertà vigilata non può avere durata inferiore a un anno.
Per la vigilanza sui minori si osservano le disposizioni precedenti, in quanto non provvedano leggi speciali.
Art. 229.
(Casi nei quali può essere ordinata la libertà vigilata).
Oltre quanto è prescritto da speciali disposizioni di legge, la libertà vigilata può essere ordinata:
nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a un anno;
nei casi in cui questo codice autorizza una misura di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato.
Art. 230.
(Casi nei quali deve essere ordinata la libertà vigilata).
La libertà vigilata è sempre ordinata:
se è inflitta la pena della reclusione per non meno di dieci anni: e non può, in tal caso, avere durata inferiore a tre anni;
quando il condannato è ammesso alla liberazione condizionale;
se il contravventore abituale o professionale, non essendo più sottoposto a misure di sicurezza, commette un nuovo reato, il quale sia nuova manifestazione di abitualità o professionalità;
negli altri casi determinati dalla legge.
Nel caso in cui sia stata disposta l'assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro, il giudice, al termine dell'assegnazione, può ordinare che la persona da dimettere sia posta in libertà vigilata ovvero può obbligarla a cauzione di buona condotta.
Art. 231.
(Trasgressione degli obblighi imposti).
Fuori del caso preveduto dalla prima parte dell'articolo 177, quando la persona in stato di libertà vigilata trasgredisce agli obblighi imposti, il giudice può aggiungere alla libertà vigilata la cauzione di buona condotta.
Avuto riguardo alla particolare gravità della trasgressione o al ripetersi della medesima, ovvero qualora il trasgressore non presti la cauzione, il giudice può sostituire alla libertà vigilata l'assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro, ovvero, se si tratta di un minore, il ricovero in un riformatorio giudiziario.
Art. 232.
(Minori o infermi di mente in stato di libertà vigilata).
La persona di età minore o in stato d'infermità psichica non può essere posta in libertà vigilata, se non quando sia possibile affidarla ai genitori, o a coloro che abbiano obbligo di provvedere alla sua educazione o assistenza, ovvero a istituti di assistenza sociale.
Qualora tale affidamento non sia possibile o non sia ritenuto opportuno, è ordinato, o mantenuto, secondo i casi, il ricovero nel riformatorio, o nella casa di cura e di custodia.
Se, durante la libertà vigilata, il minore non dà prova di ravvedimento o la persona in stato d'infermità psichica si rivela di nuovo pericolosa, alla libertà vigilata è sostituito, rispettivamente, il ricovero in un riformatorio o il ricovero in una casa di cura o di custodia.
Art. 233.
(Divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più provincie).
Al colpevole di un delitto contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero di un delitto commesso per motivi politici o occasionato da particolari condizioni sociali o morali esistenti in un determinato luogo, può essere imposto il divieto di soggiornare in uno o più comuni o in una o più provincie, designati dal giudice.
Il divieto di soggiorno ha una durata non inferiore a un anno.
Nel caso di trasgressione, ricomincia a decorrere il termine minimo, e può essere ordinata inoltre la libertà vigilata.
Art. 234.
(Divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche).
Il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche ha la durata minima di un anno.
Il divieto è sempre aggiunto alla pena, quando si tratta di condannati per ubriachezza abituale o per reati commessi in stato di ubriachezza, sempre che questa sia abituale.
Nel caso di trasgressione, può essere ordinata inoltre la libertà vigilata o la prestazione di una cauzione di buona condotta.
Art. 235.
(Espulsione dello straniero dallo Stato).
L'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato è ordinata dal giudice, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a dieci anni.
Allo straniero che trasgredisce all'ordine di espulsione, pronunciato dal giudice, si applicano le sanzioni stabilite dalle leggi di sicurezza pubblica per il caso di contravvenzione all'ordine di espulsione emanato dall'Autorità amministrativa.
CAPO II.
DELLE MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI.
Art. 236.
(Specie: regole generali).
Sono misure di sicurezza patrimoniali, oltre quelle stabilite da particolari disposizioni di legge:
la cauzione di buona condotta;
la confisca.
Si applicano anche alle misure di sicurezza patrimoniali le disposizioni degli
articoli 199, 200, prima parte
, 201, prima parte, 205, prima parte e numero 3° del capoverso, e, salvo che si tratti di confisca, le disposizioni del
primo e secondo capoverso dell'articolo 200
e quelle dell'articolo 210.
Alla cauzione di buona condotta si applicano altresì le disposizioni degli
articoli 202, 203, 204, prima parte
, e 207.
Art 237.
(Cauzione di buona condotta).
La cauzione di buona condotta è data mediante il deposito, presso la cassa delle ammende, di una somma non inferiore a lire mille, né superiore a lire ventimila.
In luogo del deposito, è ammessa la prestazione di una garanzia mediante ipoteca, o anche mediante fideiussione solidale.
La durata della misura di sicurezza non può essere inferiore a un anno, né superiore a cinque; e decorre dal giorno in cui la cauzione fu prestata.
Art. 238.
(Inadempimento dell'obbligo di prestare cauzione).
Qualora il deposito della somma non sia eseguito o la garanzia non sia prestata, il giudice sostituisce alla cauzione la libertà vigilata.
Art. 239.
(Adempimento o trasgressione dell'obbligo di buona condotta).
Se, durante l'esecuzione della misura di sicurezza, chi vi è sottoposto non commette alcun delitto, ovvero alcuna contravvenzione per la quale la legge stabilisce la pena dell'arresto, è ordinata la restituzione della somma depositata o la cancellazione della ipoteca; e la fideiussione si estingue. In caso diverso, la somma depositata o per la quale fu data garanzia, è devoluta alla cassa delle ammende.
Art. 240.
(Confisca).
Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.
È sempre ordinata la confisca:
delle cose che costituiscono il prezzo del reato;
delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
Le disposizioni della prima parte e del numero 1° del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato.
La disposizione del numero 2° non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.
LIBRO II.
DEI DELITTI IN PARTICOLARE
TITOLO I.
DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ DELLO STATO.
CAPO I.
DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ INTERNAZIONALE DELLO STATO.
Art. 241.
(Attentati contro la integrità, l'indipendenza o l'unità dello Stato).
Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza dello Stato, è punito con la morte.
Alla stessa pena soggiace chiunque commette un fatto diretto a disciogliere l'unità dello Stato, o a distaccare dalla madre patria una colonia o un altro territorio soggetto, anche temporaneamente, alla sua sovranità.
Art. 242.
(Cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano).
Il cittadino che porta le armi contro lo Stato, o presta servizio nelle forze armate di uno Stato in guerra contro lo Stato italiano, è punito con l'ergastolo. Se esercita un comando superiore o una funzione direttiva è punito con la morte.
Non è punibile chi, trovandosi, durante le ostilità, nel territorio dello Stato nemico, ha commesso il fatto per esservi stato costretto da un obbligo impostogli dalle leggi dello Stato medesimo.
Agli effetti delle disposizioni di questo titolo, è considerato cittadino anche chi ha perduto per qualunque causa la cittadinanza italiana.
Agli effetti della legge penale, sono considerati stati in guerra contro lo Stato italiano anche gli aggregati politici che, sebbene dallo Stato italiano non riconosciuti come stati, abbiano tuttavia il trattamento di belligeranti.
Art. 243.
(Intelligenze con lo straniero a scopo di guerra contro lo Stato italiano).
Chiunque tiene intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.
Se la guerra segue, si applica la pena di morte; se le ostilità si verificano, si applica l'ergastolo.
Art. 244.
(Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra).
Chiunque, senza l'approvazione del Governo, fa arruolamento o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni; se la guerra avviene, è punito con l'ergastolo.
Qualora gli atti ostili siano tali da turbare soltanto le relazioni con un Governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano o i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie o di ritorsioni, la pena è della reclusione da due a otto anni. Se segue la rottura delle relazioni diplomatiche, o se avvengono le rappresaglie o le ritorsioni, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Art. 245.
(Intelligenze con lo straniero per impegnare lo Stato italiano alla neutralità o alla guerra).
Chiunque tiene intelligenze con lo straniero per impegnare o per compiere atti diretti a impegnare lo Stato italiano alla dichiarazione o al mantenimento della neutralità, ovvero alla dichiarazione di guerra, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
La pena è aumentata se le intelligenze hanno per oggetto una propaganda col mezzo della stampa.
Art. 246.
(Corruzione del cittadino da parte dello straniero).
Il cittadino, che, anche indirettamente, riceve o si fa promettere dallo straniero, per se o per altri, denaro o qualsiasi utilità, o soltanto ne accetta la promessa, al fine di compiere atti contrari agli interessi nazionali è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da lire cinquemila a ventimila.
Alla stessa pena soggiace lo straniero che dà o promette il denaro o l'utilità.
La pena è aumentata:
se il fatto è commesso in tempo di guerra;
se il denaro o l'utilità sono dati o promessi per una propaganda col mezzo della stampa.
Art. 247.
(Favoreggiamento bellico).
Chiunque, in tempo di guerra, tiene intelligenze con lo straniero per favorire le operazioni militari del nemico a danno dello Stato italiano, o per nuocere altrimenti alle operazioni militari dello Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti agli stessi scopi, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni; e, se raggiunge l'intento, con la morte.
Art. 248.
(Somministrazione al nemico di provvigioni).
Chiunque, in tempo di guerra, somministra, anche indirettamente, allo Stato nemico provvigioni, ovvero altre cose, le quali possono essere usate a danno dello Stato italiano, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.
Tale disposizione non si applica allo straniero che commette il fatto all'estero.
Art. 249.
(Partecipazione a prestiti a favore del nemico).
Chiunque, in tempo di guerra, partecipa a prestiti o a versamenti a favore dello Stato nemico, o agevola le operazioni ad essi relative, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.
Tale disposizione non si applica allo straniero che commette il fatto all'estero.
Art. 250.
(Commercio col nemico).
Il cittadino, o lo straniero dimorante nel territorio dello Stato, il quale, in tempo di guerra e fuori dei casi indicati nell'art. 248, commercia, anche indirettamente, con sudditi dello Stato nemico, ovunque dimoranti, ovvero con altre persone dimoranti nel territorio dello Stato nemico, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa pari al quintuplo del valore della merce e, in ogni caso, non inferiore a lire diecimila.
Art. 251.
(Inadempimento di contratti di forniture in tempo di guerra).
Chiunque, in tempo di guerra, non adempie in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano da un contratto di fornitura di cose o di opere concluso con lo Stato o con un altro ente pubblico o con un'impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità per i bisogni delle forze armate dello Stato o della popolazione, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa paro al triplo del valore della cosa o dell'opera che egli avrebbe dovuto fornire e, in ogni caso, non inferiore a lire diecimila.
Se l'inadempimento, totale o parziale, del contratto è dovuto a colpa, le pene sono ridotte alla metà.
Le stesse disposizioni si applicano ai subfornitori, ai mediatori e ai rappresentanti dei fornitori, allorché essi, violando i loro obblighi contrattuali, hanno cagionato l'inadempimento del contratto di fornitura.
Art. 252.
(Frode in forniture in tempo di guerra).
Chiunque, in tempo di guerra, commette frode nell'esecuzione dei contratti di fornitura o nell'adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nello articolo precedente è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni e con la multa pari al quintuplo del valore della cosa o dell'opera che avrebbe dovuto fornire, e, in ogni caso non inferiore a lire ventimila.
Art. 253.
(Distruzione o sabotaggio di opere militari).
Chiunque distrugge, o rende inservibili, in tutto o in parte, anche temporaneamente, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle forze armate dello Stato è punito con la reclusione non inferiore a otto anni.
Si applica la pena di morte:
se il fatto è commesso nell'interesse di uno Stato in guerra contro lo Stato italiano;
se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.
Art. 254.
(Agevolazione colposa).
Quando l'esecuzione del delitto preveduto dall'articolo precedente è stata resa possibile, o soltanto agevolata, per colpa di chi era in possesso o aveva la custodia o la vigilanza delle cose ivi indicate, questi è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Art. 255.
(Soppressione, falsificazione o sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato).
Chiunque, in tutto o in parte, sopprime, distrugge o falsifica, ovvero carpisce, sottrae o distrae, anche temporaneamente, atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato od altro interesse politico, interno o internazionale, dello Stato è punito con la reclusione non inferiore a otto anni.
Si applica la pena di morte se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.
Art. 256.
(Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato).
Chiunque si procura notizie che, nell'interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Agli effetti delle disposizioni di questo titolo, fra le notizie che debbono rimanere segrete nell'interesse politico dello Stato sono comprese quelle contenute in atti del Governo, da esso non pubblicati per ragioni d'ordine politico, interno o internazionale.
Se si tratta di notizie di cui l'Autorità competente ha vietato la divulgazione, la pena è della reclusione da due a otto anni.
Si applica la pena di morte se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato ovvero le operazioni militari.
Art. 257.
(Spionaggio politico o militare).
Chiunque si procura, a scopo di spionaggio politico o militare, notizie che, nell'interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.
Si applica la pena di morte:
se il fatto è commesso nell'interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano;
se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.
Art. 258.
(Spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione).
Chiunque si procura, a scopo di spionaggio politico o militare, notizie di cui l'Autorità competente ha vietato la divulgazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.
Si applica l'ergastolo se il fatto è commesso nell'interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano.
Si applica la pena di morte se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.
Art. 259.
(Agevolazione colposa).
Quando l'esecuzione di alcuno dei delitti preveduti dagli
articoli 255, 256, 257 e 258
, è stata resa possibile, o soltanto agevolata, per colpa di chi era in possesso dell'atto o documento o a cognizione della notizia, questi è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Si applica la reclusione da tre a quindici anni se sono state compromesse la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.
Le stesse pene si applicano quando l'esecuzione dei delitti suddetti è stata resa possibile o soltanto agevolata per colpa di chi aveva la custodia o la vigilanza dei luoghi o delle zone di terra, di acqua o di aria, nelle quali è vietato l'accesso nell'interesse militare dello Stato.
Art. 260.
(Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio).
È punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque:
si introduce clandestinamente o con inganno in luoghi o zone di terra, di acqua o di aria, in cui è vietato l'accesso nell'interesse militare dello Stato;
è colto, in tali luoghi o zone, o in loro prossimità, in possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere alcuno dei delitti preveduti dagli
articoli 256, 257 e 258
;
è colto in possesso ingiustificato di documenti o di qualsiasi altra cosa atta a fornire le notizie indicate nell'articolo 256.
Se alcuno dei fatti preveduti dai numeri precedenti è commesso in tempo di guerra, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Art. 261.
(Rivelazione di segreti di Stato).
Chiunque rivela taluna delle notizie di carattere segreto indicate nell'articolo 256 è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.
Se il fatto è commesso in tempo di guerra, ovvero ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato o le operazioni militari, la pena della reclusione non può essere inferiore a dieci anni.
Se il colpevole ha agito a scopo di spionaggio politico o militare, si applica, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, la pena dell'ergastolo; e, nei casi preveduti dal primo capoverso, la pena di morte.
Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche a chi ottiene la notizia.
Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, e da tre a quindici anni qualora concorra una delle circostanze indicate nel primo capoverso.
Art. 262.
(Rivelazione di notizia di cui sia stata vietata la divulgazione).
Chiunque rivela notizie, delle quali l'Autorità competente ha vietato la divulgazione, è punito con la reclusione non inferiore a tre anni.
Se il fatto è commesso in tempo di guerra, ovvero ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato o le operazioni militari, la pena è della reclusione non inferiore a dieci anni.
Se il colpevole ha agito a scopo di spionaggio politico o militare, si applica, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, la reclusione non inferiore a quindici anni; e, nei casi preveduti dal primo capoverso, la pena di morte.
Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche a chi ottiene la notizia.
Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, e da tre a quindici anni qualora concorra una delle circostanze indicate nel primo capoverso.
Art. 263.
(Utilizzazione dei segreti di Stato).
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che impiega a proprio o altrui profitto invenzioni o scoperte scientifiche o nuove applicazioni industriali che egli conosca per ragione del suo ufficio o servizio, e che debbono rimanere segrete nell'interesse della sicurezza dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni e con la multa non inferiore a lire diecimila.
Se il fatto è commesso nell'interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano, o se ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari, il colpevole è punito con la morte.
Art. 264.
(Infedeltà in affari di Stato).
Chiunque, incaricato dal Governo italiano di trattare all'estero affari di Stato, si rende infedele al mandato è punito, se dal fatto possa derivare nocumento all'interesse nazionale, con la reclusione non inferiore a cinque anni.
Art. 265.
(Disfattismo politico).
Chiunque, in tempo di guerra, diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possano destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o altrimenti menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico, o svolge comunque un'attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.
La pena è non inferiore a quindici:
se il fatto è commesso con propaganda o comunicazioni dirette a militari;
se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze con lo straniero.
La pena è dell'ergastolo se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze col nemico.
Art. 266.
(Istigazione di militari a disobbedire alle leggi).
Chiunque istiga i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero fa a militari l'apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari, è punito, per ciò solo, se il fatto non costituisce un più grave delitto, con la reclusione da uno a tre anni.
La pena è della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso pubblicamente.
Le pene sono aumentate se il fatto è commesso in tempo di guerra.
Agli effetti della legge penale, il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è commesso:
col mezzo della stampa, o con altro mezzo di propaganda;
in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone;
in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli intervenuti, o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata.
Art. 267.
(Disfattismo economico).
Chiunque, in tempo di guerra, adopera mezzi diretti a deprimere il corso dei cambi, o ad influire sul mercato dei titoli o dei valori, pubblici o privati, in modo da esporre a pericolo la resistenza della nazione di fronte al nemico, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni e con la multa non inferiore a lire trentamila.
Se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze con lo straniero, la reclusione non può essere inferiore a dieci anni.
La reclusione è non inferiore a quindici anni se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze col nemico.
Art. 268.
(Parificazione degli stati alleati).
Le pene stabilite negli articoli 247 e seguenti si applicano anche quando il delitto è commesso a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, con lo Stato italiano.
Art. 269.
(Attività antinazionale del cittadino all'estero).
Il cittadino, che, fuori del territorio dello Stato, diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose sulle condizioni interne dello Stato, per modo da menomare il credito o il prestigio dello Stato all'estero, o svolge comunque un'attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.
Art. 270.
(Associazioni sovversive).
Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale, o comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.
Art. 271.
(Associazioni antinazionali).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, nel territorio dello Stato, promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongano di svolgere o che svolgano più attività diretta a distruggere o deprimere il sentimento nazionale è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Art. 272.
(Propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale).
Chiunque nel territorio dello Stato fa propaganda per la instaurazione violenta della dittatura di una classe sociale sulle altre, o per la soppressione violenta di una classe sociale o, comunque, per il sovvertimento violento degli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, ovvero fa propaganda per la distruzione di ogni ordinamento politico e giuridico della società, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se la propaganda è fatta per distruggere o deprimere il sentimento nazionale, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni.
Alle stesse pene soggiace chi fa apologia dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti.
Art. 273.
(Illecita costituzione di associazioni aventi carattere internazionale).
Chiunque senza autorizzazione del Governo promuove, costituisce, organizza o dirige nel territorio dello Stato associazioni, enti o istituti di carattere internazionale, o sezioni di essi, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire cinquemila a ventimila.
Se l'autorizzazione è stata ottenuta per effetto di dichiarazioni false o reticenti, la pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa non inferiore a lire diecimila.
Art. 274.
(Illecita partecipazione ad associazioni aventi carattere internazionale).
Chiunque partecipa nel territorio dello Stato ad associazioni, enti o istituti, o sezioni di essi, di carattere internazionale, per i quali non sia stata conceduta l'autorizzazione del Governo, è punito con la multa da lire mille a diecimila.
La stessa pena si applica al cittadino, residente nel territorio dello Stato, che senza l'autorizzazione del Governo partecipa ad associazioni, enti o istituti di carattere internazionale, che abbiano sede all'estero.
Art. 275.
(Accettazione di onorificenze o utilità da uno Stato nemico).
Il cittadino, che, da uno Stato in guerra con lo Stato italiano, accetta gradi o dignità accademiche, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, pensioni o altre utilità, inerenti ai predetti gradi, dignità, titoli, decorazioni o onorificenze, è punito con la reclusione fino a un anno.
CAPO II.
DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ INTERNA DELLO STATO.
Art. 276.
(Attentato contro il Re, il Reggente, la Regina, il Principe ereditario e i Principi della famiglia Reale).
Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Re o del Reggente è punito con la morte.
La stessa pena si applica se il fatto è diretto contro la vita, la incolumità la libertà personale della Regina o del Principe ereditario.
Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale di un'altra persona della famiglia Reale è punito, nel caso di attentato alla vita, con la reclusione non inferiore a venti anni, e, negli altri casi, con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se dal fatto deriva la morte, si applica la pena di morte, nel caso di attentato alla vita; e l'ergastolo negli altri casi.
Art. 277.
(Offesa alla libertà del Re, del Reggente, della Regine, del Principe ereditario e dei Principi della famiglia Reale).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, attenta alla libertà del Re o del Reggente è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Se il fatto è diretto contro la Regina o il Principe ereditario, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni; e da tre a dieci anni, se diretto contro un'altra persona della famiglia Reale.
Art. 278.
(Offesa all'onore del Re, del Reggente, della Regina, del Principe ereditario e dei Principi della famiglia Reale).
Chiunque offende l'onore o il prestigio del Re o del Reggente è punito con la reclusione da due a sette anni.
Se il fatto è commesso contro la Regina o il Principe ereditario, il colpevole è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se il fatto è commesso contro un'altra persona della famiglia Reale, ovvero è offesa la memoria di un ascendente o di un discendente o di un altro prossimo congiunto del Re, del Reggente o della Regina, il colpevole è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Art. 279.
(Lesa prerogativa della irresponsabilità del Re).
Chiunque, pubblicamente, fa risalire al Re o al Reggente il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo è punito con la reclusione da due a cinque anni.
Art. 280.
(Attentato contro il Capo del Governo).
Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Capo del Governo è punito con la morte.
Art. 281.
(Offesa alla libertà del Capo del Governo).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, attenta alla libertà del Capo del Governo è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.
Art. 282.
Offesa all'onore del Capo del Governo.
Chiunque offende l'onore o il prestigio del Capo del Governo è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Art. 283.
(Attentato contro la Costituzione dello Stato).
Chiunque commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato, o la forma del Governo, o l'ordine di successione al trono, con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con l'ergastolo.
Art. 284.
(Insurrezione armata contro i poteri dello Stato).
Chiunque promuove un'insurrezione armata contro i poteri dello Stato è punito con l'ergastolo e, se l'insurrezione avviene, con la morte.
Coloro che partecipano alla insurrezione sono puniti con la reclusione da tre a quindici anni; coloro che la dirigono, con la morte.
La insurrezione si considera armata anche se le armi sono soltanto tenute in luogo di deposito.
Art. 285.
(Devastazione, saccheggio e strage).
Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato o in una parte di esso è punito con la morte.
Art. 286.
(Guerra civile).
Chiunque commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato, è punito con l'ergastolo.
Se la guerra civile avviene, il colpevole è punito con la morte.
Art. 287.
(Usurpazione di potere politico o di comando militare).
Chiunque usurpa un potere politico, ovvero persiste nell'esercitarlo indebitamente, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Alla stessa pena soggiace chiunque indebitamente assume un alto comando militare.
Se il fatto è commesso in tempo di guerra, il colpevole è punito con l'ergastolo; ed è punito con la morte, se il fatto ha compromesso l'esito delle operazioni militari.
Art. 288.
(Arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero).
Chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini, perché militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
La pena è aumentata se fra gli arruolati sono militari in servizio, o persone tuttora soggette agli obblighi del servizio militare.
Art. 289.
(Attentato contro gli organi costituzionali).
È punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:
al Re o al Reggente l'esercizio della sovranità;
al Governo del Re o al Capo del Governo l'esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge;
al Gran Consiglio del fascismo, al Senato o alla Camera dei deputati l'esercizio delle loro funzioni.
La pena è della reclusione da tre a dieci anni, se il fatto è diretto soltanto a turbare l'esercizio della sovranità, o delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette.
Art. 290.
(Vilipendio alle istituzioni costituzionali).
Chiunque pubblicamente vilipende la Corona, il Governo del Re, il Gran Consiglio del fascismo, o il Parlamento, o soltanto una delle Camere, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato o l'Ordine giudiziario.
Art. 291.
(Vilipendio alla nazione italiana).
Chiunque pubblicamente vilipende la nazione italiana è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Art. 292.
(Vilipendio alla bandiera o al altro emblema dello Stato).
Chiunque vilipende la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Agli effetti della legge penale, per bandiera nazionale s'intende la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori nazionali.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche a chi vilipende i colori nazionali raffigurati su cosa diversa da una bandiera.
Art. 293.
(Circostanza aggravante).
Nei casi indicati dai due articoli precedenti, la pena è aumentata se il fatto è commesso dal cittadino in territorio estero.
CAPO III.
DEI DELITTI CONTRO I DIRITTI POLITICI DEL CITTADINO.
Art. 294.
(Attentati contro i diritti politici del cittadino).
Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l'esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
CAPO IV.
DEI DELITTI CONTRO GLI STATI ESTERI, I LORO CAPI E I LORO RAPPRESENTANTI.
Art. 295.
(Attentato contro i Capi di Stati esteri).
Chiunque nel territorio dello Stato attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Capo di uno Stato estero è punito, nel caso di attentato alla vita, con la reclusione non inferiore a venti anni e, negli altri casi, con la reclusione non inferiore a quindici anni. Se dal fatto è derivata la morte del Capo dello Stato estero, il colpevole è punito con la morte, nel caso di attentato alla vita; negli altri casi è punito con l'ergastolo.
Art. 296.
(Offesa alla libertà dei Capi di Stati esteri).
Chiunque nel territorio dello Stato, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, attenta alla libertà del capo di un Stato estero è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Art. 297.
(Offesa all'onore dei Capi di Stati esteri).
Chiunque nel territorio dello Stato offende l'onore o il prestigio del Capo di uno Stato estero è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Art. 298.
(Offese contro i rappresentanti di Stati esteri).
Le disposizioni dei tre articoli precedenti si applicano anche se i fatti, ivi preveduti, sono commessi contro i rappresentanti di Stati esteri, accreditati presso il Governo del Re, in qualità di capi di missione diplomatica, a causa o nell'esercizio delle loro funzioni.
Art. 299.
(Offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero).
Chiunque nel territorio dello Stato vilipende, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, la bandiera ufficiale o un altro emblema di uno Stato estero, usati in conformità del diritto interno dello Stato italiano, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Art. 300.
(Condizione di reciprocità).
Le disposizioni degli
articoli 295, 296, 297 e 299
si applicano solo in quanto la legge straniera garantisca, reciprocamente, al capo dello Stato italiano o alla bandiera italiana parità di tutela penale.
I Capi di missione diplomatica sono equiparati ai Capi di Stati esteri, a norma dell'articolo 298, soltanto se lo Stato straniero concede parità di tutela penale ai capi di missione diplomatica italiana.
Se la parità della tutela penale non esiste, si applicano le disposizioni dei titoli dodicesimo e tredicesimo; ma la pena è aumentata.
CAPO V.
DISPOSIZIONI GENERALI E COMUNI AI CAPI PRECEDENTI.
Art. 301.
(Concorso di reati).
Quando l'offesa alla vita, alla incolumità, alla libertà o all'onore, indicata negli
articoli 276, 277, 278, 280, 281, 282, 295, 296, 297 e 298
, è considerata dalla legge come reato anche in base a disposizioni diversi da quelle contenute nei capi precedenti, si applicano le disposizioni che stabiliscono la pena più grave.
Nondimeno, nei casi in cui debbono essere applicate disposizioni diverse da quelle contenute nei capi precedenti, le pene sono aumentate da un terzo alla metà.
Quando l'offesa alla vita, alla incolumità, alla libertà o all'onore è considerata dalla legge come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato, questo cessa dal costituire un reato complesso, e il colpevole soggiace a pene distinte, secondo le norme sul concorso dei reati, applicandosi, per le dette offese, le disposizioni contenute nei capi precedenti.
Art. 302.
(Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e secondo).
Chiunque istiga taluno a commettere uno dei delitti, non colposi, preveduti dai
capi primo e secondo di questo titolo
, per i quali la legge stabilisce la pena di morte o l'ergastolo o la reclusione, è punito, se la istigazione non è accolta, ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, con la reclusione da uno a otto anni.
Tuttavia, la pena da applicare è sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si riferisce la istigazione.
Art. 303.
(Pubblica istigazione e apologia).
Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più fra i delitti indicati nell'articolo precedente è punito, per il solo fatto dell'istigazione, con la reclusione da tre a dodici anni.
La stessa pena si applica a chiunque pubblicamente fa l'apologia di uno o più fra i delitti indicati nell'articolo precedente.
Art. 304.
(Cospirazione politica mediante accordo).
Quando più persone si accordano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302, coloro che partecipano all'accordo sono puniti, se il delitto non è commesso, con la reclusione da uno a sei anni.
Per i promotori la pena è aumentata.
Tuttavia, la pena da applicare è sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si riferisce l'accordo.
Art. 305.
(Cospirazione politica mediante associazione).
Quando tre o più persone si associano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302, coloro che promuovono, costituiscono, od organizzano la associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da cinque a dodici anni.
Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da due a otto anni.
I capi dell'associazione soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Le pene sono aumentate se l'associazione tende a commettere due o più dei delitti sopra indicati.
Art. 306.
(Banda armata: formazione e partecipazione).
Quando, per commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302, si forma una banda armata, coloro che la promuovono o costituiscono od organizzano, soggiacciono, per ciò solo, alla pena della reclusione da cinque a quindici ani.
Per il solo fatto di partecipare alla banda armata, la pena è della reclusione da tre a nove anni.
I capi o i sovventori della banda armata soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Art. 307.
(Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata).
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento dà rifugio o fornisce il vitto a taluna delle persone che partecipano all'associazione o alla banda indicate nei due articoli precedenti, è punito con la reclusione fino a due anni.
La pena è aumentata se il rifugio o il vitto sono prestati continuatamente.
Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Agli effetti della legge penale s'intendono per prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti, nondimeno, nella denominazione di prossimi, congiunti non si comprendono gli affini, allorchè sia morto il coniuge e non vi sia prole.
Art. 308.
(Cospirazione: casi di non punibilità).
Nei casi preveduti dagli
articoli 304, 305, e 307
non sono punibili coloro i quali, prima che sia commesso il delitto per cui l'accordo è intervenuto o l'associazione è costituita, e anteriormente all'arresto, ovvero al procedimento:
disciolgono o, comunque, determinano lo scioglimento dell'associazione;
non essendo promotori o capi, recedono dall'accordo o dall'associazione.
Non sono parimenti punibili coloro i quali impediscono comunque che sia compiuta l'esecuzione del delitto per cui l'accordo è intervenuto o l'associazione è stata costituita.
Art. 309.
(Banda armata: casi di non punibilità).
Nei casi preveduti dagli
articoli 306 e 307
, non sono punibili coloro i quali, prima che sia commesso il delitto per cui la banda armata venne formata, e prima dell'ingiunzione dell'Autorità o della forza pubblica, o immediatamente dopo tale ingiunzione:
disciolgono o, comunque, determinano lo scioglimento della banda;
non essendo promotori o capi della banda, si ritirano dalla banda stessa, ovvero si arrendono, senza opporre resistenza e consegnando o abbandonando le armi.
Non sono parimenti punibili coloro i quali impediscono comunque che sia compiuta l'esecuzione del delitto per cui la banda è stata formata.
Art. 310.
(Tempo di guerra).
Agli effetti della legge penale, nella denominazione di tempo di guerra è compreso anche il periodo di imminente pericolo di guerra, quando questa sia seguita.
Art. 311.
(Circostanza diminuente: lieve entità del fatto).
Le pene comminate pei delitti preveduti da questo titolo sono diminuite quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Art. 312.
(Espulsione dello straniero).
Lo straniero, condannato a una pena restrittiva della libertà personale per taluno dei delitti preveduti da questo titolo, è espulso dallo Stato.
Art. 313.
(Autorizzazione o richiesta di procedimento).
Per i delitti preveduti dagli
articoli 244, 245, 265,267, 269, 273, 274, 277, 278, 279, 281, 282, 287 e 288
non si può procedere senza l'autorizzazione del Ministro della giustizia.
Parimenti, non si può procedere senza tale autorizzazione per i delitti preveduti dagli
articoli 247, 248, 249, 250, 251 e 252
, quando sono commessi a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano.
Per il delitto preveduto dall'articolo 290, quando è commesso contro il Gran Consiglio del fascismo o il Parlamento, ovvero contro il Senato o la Camera dei deputati, non si può procedere senza l'autorizzazione del Gran Consiglio, o delle due Camere, ovvero di quella delle due Camere contro la quale il vilipendio è diretto. Negli altri casi non si può procedere senza l'autorizzazione del Ministro della giustizia.
I delitti preveduti dagli
articoli 296, 297, 298
in relazione agli
articoli 296 e 297
, e dall'articolo 299 sono punibili a richiesta del Ministro della giustizia.
TITOLO II.
DEI DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
CAPO I.
DEI DELITTI DEI PUBBLICI UFFICIALI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
Art. 314.
(Peculato).
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso di denaro o di altra cosa mobile, appartenente alla pubblica amministrazione, se l'appropria, ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa non inferiore a lire mille.
La condanna importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nondimeno, se per circostanze attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, la condanna importa l'interdizione temporanea.
Art. 315.
(Malversazione a danno di privati).
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che si appropria o, comunque, distrae, a profitto proprio o di un terzo, denaro o qualsiasi cosa mobile non appartenente alla pubblica amministrazione, di cui egli ha il possesso per ragioni del suo ufficio o servizio, è punito con la reclusione da tre a otto anni e con la multa non inferiore a lire mille.
Si applicano le disposizioni del capoverso dell'articolo precedente.
Art. 316.
(Peculato mediante profitto dell'errore altrui).
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sè o per un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire cinquecento a lire diecimila.
Art. 317.
(Concussione).
Il pubblico ufficiale, che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa non inferiore a lire tremila.
Si applicano le disposizioni del capoverso dell'articolo 314.
Art. 318.
(Corruzione per un atto d'ufficio).
Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sè o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da lire cinquecento a diecimila.
Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d'ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino ad un anno e della multa fino a lire tremila.
Art. 319.
(Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio).
Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare un atto del suo ufficio, o per fare un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, ovvero ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da lire tremila a ventimila.
La pena è aumentata, se dal fatto deriva:
il conferimento di pubblici impieghi, stipendi, pensioni, onorificienze, o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione di cui fa parte il pubblico ufficiale;
il favore o il danno di una parte in un processo civile, penale o amministrativo.
Si applica la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa non inferiore a lire venticinquemila, se dal fatto deriva una sentenza di condanna all'ergastolo o alla reclusione. Si applica la pena dell'ergastolo, se dal fatto deriva una sentenza di condanna alla pena di morte.
Qualora il pubblico ufficiale riceva il denaro o la utilità per aver agito contro i doveri del suo ufficio, o per aver omesso o ritardato un atto di ufficio, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da lire mille a diecimila.
Art. 320.
(Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio).
Le disposizioni dell'articolo 318 si applicano anche se il fatto è commesso da persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta le qualità di pubblico impiegato.
Le disposizioni della prima e dell'ultima parte dell'articolo precedente si applicano a qualsiasi persona incaricata di un pubblico servizio.
In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore a un terzo.
Art. 321.
(Pene per il corruttore).
Le pene stabilite negli articoli 318, prima parte, 319 e 320 si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio il denaro o altra utilità.
Art. 322.
(Istigazione alla corruzione).
Chiunque offre o promette denaro od o altra utilità, come retribuzione non dovuta, a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che rivesta la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto dell'ufficio o servizio, soggiace , qualora la offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nella prima parte dell'articolo 318, ridotta di un terzo.
Se l'offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto dell'ufficio o servizio, ovvero a fare un atto contrario ai propri doveri, il colpevole soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nella prima parte dell'articolo 319, ridotta di un terzo.
Art. 323.
(Abuso di ufficio in casi non preveduti specificamente dalla legge).
Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette, per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire cinquecento a diecimila.
Art. 324.
(Interesse privato in atti di ufficio).
Il pubblico ufficiale, che, direttamente o per interposta persona, o con atti simulati, prende un interesse privato in qualsiasi atto della pubblica amministrazione presso la quale esercita il proprio ufficio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da lire mille a ventimila.
Art. 325.
(Utilizzazione d'invenzioni o scoperte conosciute per ragioni di ufficio).
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che impiega, a proprio o altrui profitto, invenzioni o scoperte scientifiche, o nuove applicazioni industriali, che egli conosca per ragione dell'ufficio o servizio, e che debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire cinquemila.
Art. 326.
(Rivelazione di segreti di ufficio).
Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.
Art. 327.
(Eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell'Autorità).
Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, eccita al dispregio delle istituzioni o alla inosservanza delle leggi, delle disposizioni dell'Autorità o dei doveri inerenti a un pubblico ufficio o servizio, ovvero fa l'apologia di fatti contrari alle leggi, alle disposizioni dell'Autorità o ai doveri predetti, è punito, quando il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire duemila.
La disposizione precedente si applica anche al pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio, e al ministro di un culto.
Art. 328.
(Omissione o rifiuto di atti di ufficio).
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell'ufficio o del servizio, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire diecimila.
Se il pubblico ufficiale è un giudice o un funzionario del pubblico ministero, vi è omissione, rifiuto o ritardo, quando concorrono le condizioni richieste dalla legge per esercitare contro di essi l'azione civile.
Art. 329.
(Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica).
Il militare o l'agente della forza pubblica il quale rifiuta o ritarda indebitamente di eseguire una richiesta fattagli dall'Autorità competente nelle forme stabilite dalla legge, è punito con la reclusione fino a due anni.
Art. 330.
(Abbandono collettivo di pubblici uffici, impieghi, servizi o lavori).
I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio aventi la qualità di impiegati, i privati che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, non organizzati in imprese, e i dipendenti da imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità, i quali, in numero di tre o più, abbandonano collettivamente l'ufficio, l'impiego, il servizio o il lavoro, ovvero li prestano in modo da turbarne la continuità o la regolarità, sono puniti con la reclusione fino a due anni.
I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da due a cinque anni.
Le pene sono aumentate, se il fatto:
è commesso per fine politico;
ha determinato dimostrazioni, tumulti o sommosse popolari.
Art. 331.
(Interruzione d'un servizio pubblico o di pubblica necessità).
Chi, esercitando imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità, interrompe il servizio, ovvero sospende il lavoro nei suoi stabilimenti, uffici o aziende, in modo da turbare la regolarità del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa non inferiore a lire cinquemila.
I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da tre a sette anni e con la multa non inferiore a lire trentamila.
Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.
Art. 332.
(Omissione di doveri di ufficio in occasione di abbandono di un pubblico ufficio o di interruzione di un pubblico servizio).
Il pubblico ufficiale o il dirigente un servizio pubblico o di pubblica necessità, che, in occasione di alcuno dei delitti preveduti dai due articoli precedenti, ai quali non abbia preso parte, rifiuta od omette di adoperarsi per la ripresa del servizio a cui è addetto o preposto, ovvero di compiere ciò che è necessario per la regolare continuazione del servizio, è punito con la multa fino a lire cinquemila.
Art. 333.
(Abbandono individuale di un pubblico ufficio, servizio o lavoro).
Il pubblico ufficiale, l'impiegato incaricato di un pubblico servizio, il privato che esercita un servizio pubblico o di pubblica necessità, non organizzato in impresa, o il dipendente da imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità, il quale abbandona l'ufficio, il servizio o il lavoro, al fine di turbarne la continuità o la regolarità, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire cinquemila.
La stessa pena si applica anche a chi, con il fine sopra indicato, senza abbandonare l'ufficio, o il servizio o il lavoro, li presta in modo da turbarne la continuità o la regolarità.
La pena è aumentata se dal fatto deriva pubblico o privato nocumento.
Art. 334.
(Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a pignoramento o a sequestro).
Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa sottoposta a pignoramento o a sequestro, è affidata alla sua custodia, al solo scopo di favorire il proprietario di essa,è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire cinquecento a cinquemila.
Si applicano la reclusione da tre mesi a due anni e la multa da lire trecento a tremila, se la sottrazione, la soppressione, la distruzione, la dispersione o il deterioramento sono commessi dal proprietario della cosa sottoposta a pignoramento o a sequestro, e affidata alla sua custodia.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a lire tremila, se il fatto è commesso dal proprietario della cosa medesima non affidata alla sua custodia.
Art. 335.
(Violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose pignorate o sequestrate).
Chiunque, avendo in custodia una cosa sottoposta a pignoramento o a sequestro, per colpa ne cagiona la distruzione o la dispersione, ovvero ne agevola la sottrazione o la soppressione, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire tremila.
CAPO II.
DEI DELITTI DEI PRIVATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIO NE.
Art. 336.
(Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale).
Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio o per influire, comunque, su di essa.
Art. 337.
(Resistenza a un pubblico ufficiale).
Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Art. 338.
(Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario).
Chiunque usa violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l'attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l'organizzazione o l'esecuzione dei servizi.
Art. 339.
(Circostanze aggravanti).
Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.
Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell'articolo 336 e dagli
articoli 337 e 338
, della reclusione da tre a quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell'articolo 336, della reclusione da due a otto anni.
Art. 340.
(Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità).
Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità è punito con la reclusione fino a un anno.
I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.
Art. 341.
(Oltraggio a un pubblico ufficiale).
Chiunque offende l'onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, in presenza di lui e a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritto o disegno, diretti al pubblico ufficiale, e a causa delle sue funzioni.
La pena è della reclusione da uno a tre anni, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate quando il fatto è commesso con violenza o minaccia, ovvero quando l'offesa è recata in presenza di una o più persone.
Art. 342.
(Oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario).
Chiunque offende l'onore o il prestigio di un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o di una rappresentanza di esso, o di una pubblica Autorità costituita in collegio, al cospetto del corpo, della rappresentanza o del collegio, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica, o con scritto o disegno, diretti al corpo, alla rappresentanza o al collegio, a causa delle sue funzioni.
La pena è della reclusione da uno a quattro anni se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.
Art. 343.
(Oltraggio a un magistrato in udienza).
Chiunque offende l'onore o il prestigio di un magistrato in udienza è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è della reclusione da due a cinque anni se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate se il fatto è commesso con violenza o minaccia.
Art. 344.
(Oltraggio a un pubblico impiegato).
Le disposizioni dell'articolo 341 si applicano anche nel caso in cui l'offesa è recata a un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio; ma le pene sono ridotte di un terzo.
Art. 345.
(Offesa all'Autorità mediante danneggiamento di affissioni).
Chiunque, per disprezzo verso l'Autorità rimuove, lacera, o, altrimenti, rende illeggibili o comunque inservibili scritti o disegni affissi o esposti al pubblico per ordine dell'Autorità stessa, è punito con la multa fino a lire cinquemila.
Art. 346.
(Millantato credito).
Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire tremila a ventimila.
La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da lire cinquemila a trentamila, se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare.
Art. 347.
(Usurpazione di funzioni pubbliche).
Chiunque usurpa una funzione pubblica o le attribuzioni inerenti a un pubblico impiego è punito con la reclusione fino a due anni.
Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o impiegato il quale, avendo ricevuta partecipazione del provvedimento che fa cessare o sospende le sue funzioni o le sue attribuzioni, continua ad esercitarle.
La condanna importa la pubblicazione della sentenza.
Art. 348.
(Abusivo esercizio di una professione).
Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire mille a cinquemila.
Art. 349.
(Violazione di sigilli).
Chiunque viola i sigilli, per disposizione della legge o per ordine dell'Autorità apposti al fine di assicurare la conservazione o la identità di una cosa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire mille a diecimila.
Se il colpevole è colui che ha in custodia la cosa, la pena è della reclusione da tre a cinque anni e della multa da lire tremila a trentamila.
Art. 350.
(Agevolazione colposa).
Se la violazione dei sigilli è resa possibile, o comunque agevolata, per colpa di chi ha in custodia la cosa, questi è punito con la multa da lire cinquecento a diecimila.
Art. 351.
(Violazione della pubblica custodia di cose).
Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora corpi di reato, atti, documenti, ovvero un'altra cosa mobile particolarmente custodita in un pubblico ufficio, o presso un pubblico ufficiale o un impiegato che presti un pubblico servizio, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione da uno a cinque anni.
Art. 352.
(Vendita di stampati dei quali è stato ordinato il sequestro).
Chiunque vende, distribuisce o affigge, in luogo pubblico o aperto al pubblico, scritti o disegni, dei quali l'Autorità ha ordinato il sequestro, è punito con la multa fino a lire cinquemila.
Art. 353.
(Turbata libertà degli incanti).
Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire mille a diecimila.
Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dall'Autorità agli incanti o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa da lire cinquemila a ventimila.
Le pene stabilite in questo articolo si applicano anche nel caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale o da persona legalmente autorizzata; ma sono ridotte della metà.
Art. 354.
(Astensione dagli incanti).
Chiunque, per denaro, dato o promesso o a lui o ad altri, o per altra utilità a lui o ad altri data o promessa, si astiene dal concorrere agli incanti o alle licitazioni indicati nell'articolo precedente, è punito con la reclusione sino a sei mesi o con la multa fino a lire cinquemila.
Art. 355.
(Inadempimento di contratti di pubbliche forniture).
Chiunque, non adempiendo gli obblighi che gli derivano da un contratto di fornitura concluso con lo Stato, o con un altro ente pubblico, ovvero con un'impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, fa mancare, in tutto o in parte, cose od opere, che siano necessarie a uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire mille.
La pena è aumentata se la fornitura concerne:
sostanze alimentari o medicinali, ovvero cose od opere destinate alle comunicazioni per terra, per acqua o per aria, o alle comunicazioni telegrafiche o telefoniche;
cose od opere destinate all'armamento o all'equipaggiamento delle forze armate dello Stato;
cose od opere destinate ad ovviare a un comune pericolo o ad un pubblico infortunio.
Se il fatto è commesso per colpa, si applica la reclusione fino a un anno, ovvero la multa da lire cinquecento a ventimila.
Le stesse disposizioni si applicano ai subfornitori, ai mediatori e ai rappresentanti dei fornitori, quando essi, violando i loro obblighi contrattuali, hanno fatto mancare la fornitura.
Art. 356.
(Frode nelle pubbliche forniture).
Chiunque commette frode nella esecuzione dei contratti di fornitura o nell'adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell'articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire diecimila.
La pena è aumentata nei casi preveduti dal primo capoverso dell'articolo precedente.
CAPO III.
DISPOSIZIONI COMUNI AI CAPI PRECEDENTI.
Art. 357.
(Nozione del pubblico ufficiale).
Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali:
gli impiegati dello Stato o di un altro ente che esercitano, permanentemente o temporaneamente, una pubblica funzione, legislativa, amministrativa o giudiziaria;;
ogni altra persona che esercita, permanentemente o temporaneamente, gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per obbligo, una pubblica funzione, legislativa, amministrativa o giudiziaria.
Art. 358.
(Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio).
Agli effetti della legge penale, sono persone incaricate di un pubblico servizio:
gli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, i quali prestano, permanentemente o temporaneamente, un pubblico servizio;
ogni altra persona che presta, permanentemente o temporaneamente, gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per obbligo, un pubblico servizio.
Art. 359.
(Persone esercenti un servizio di pubblica necessità).
Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:
i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;
i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione.
Art. 360.
(Cessazione della qualità di pubblico ufficiale).
Quando la legge considera la qualità di pubblico ufficiale, o di incaricato di un pubblico servizio, o di esercente un servizio di pubblica necessità, come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un reato, la cessazione di tale qualità, nel momento in cui il reato è commesso, non esclude la esistenza di questo né la circostanza aggravante, se il fatto si riferisce all'ufficio o al servizio esercitato.
TITOLO III.
DEI DELITTI CONTRO L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA .
CAPO I.
DEI DELITTI CONTRO L'ATTIVITÀ GIUDIZIARIA.
Art. 361.
(Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale).
Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria, o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da lire trecento a cinquemila.
La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto.
Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.
Art. 362.
(Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio).
L'incaricato di un pubblico servizio, che omette o ritarda di denunciare all'Autorità indicata nell'articolo precedente un reato del quale abbia avuto notizia nell'esercizio o a causa del servizio, è punito con la multa fino a lire mille.
Tale disposizione non si applica se si tratta di un reato punibile a querela della persona offesa
Art. 363.
(Omessa denuncia aggravata).
Nei casi preveduti dai due articoli precedenti, se la omessa o ritardata denuncia riguarda un delitto contro la personalità dello Stato, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni; ed è da uno a cinque anni, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria.
Art. 364.
(Omessa denuncia di reato da parte del cittadino).
Il cittadino, che, avendo avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato, per il quale la legge stabilisce la pena di morte o l'ergastolo, non ne fa immediatamente denuncia all'Autorità indicata nell'articolo 361, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire mille a diecimila.
Art. 365.
(Omissione di referto).
Chiunque, avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto pel quale si debba procedere d'ufficio, omette o ritarda di riferirne all'Autorità indicata nell'articolo 361, è punito con la multa fino a lire cinquemila.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.
Art. 366.
(Rifiuto di uffici legalmente dovuti).
Chiunque, nominato dall'Autorità giudiziaria perito, interprete, ovvero custode di cose sottoposte a sequestro dal giudice penale, ottiene con mezzi fraudolenti l'esenzione dall'obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire trecento a cinquemila.
Le stesse pene si applicano a chi, chiamato dinanzi all'Autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime.
Le disposizioni precedenti si applicano alla persona chiamata a deporre come testimonio dinanzi all'Autorità giudiziaria e ad ogni altra persona chiamata ad esercitare una funzione giudiziaria.
Se il colpevole è un perito o un interprete, la condanna importa l'interdizione dalla professione o dall'arte.
Art. 367.
(Simulazione di reato).
Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima, o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un' altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Art. 368.
(Calunnia).
Chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni.
La pena è aumentata se s'incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un'altra pena più grave.
La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo; e si applica la pena dell'ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte.
Art. 369.
(Autocalunnia).
Chiunque, mediante dichiarazione ad alcuna delle autorità indicate nell'articolo precedente, anche se fatta con scritto anonimo o sotto falso nome, ovvero mediante confessione innanzi all'Autorità giudiziaria, incolpa sé stesso di un reato che egli sa non avvenuto, o di un reato commesso da altri, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Art. 370.
(Simulazione o calunnia per un fatto costituente contravvenzione).
Le pene stabilite negli articoli precedenti sono diminuite se la simulazione o la calunnia concerne un fatto preveduto dalla legge come contravvenzione.
Art. 371.
(Falso giuramento della parte).
Chiunque, come parte in giudizio civile, giura il falso è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Nel caso di giuramento deferito d'ufficio, il colpevole non è punibile, se ritratta il falso prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile.
La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici.
Art. 372.
(Falsa testimonianza).
Chiunque, deponendo come testimone innanzi all'Autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Art. 373.
(Falsa perizia o interpretazione).
Il perito o l'interprete, che, nominato dall'Autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite nell'articolo precedente.
La condanna importa, oltre l'interdizione dai pubblici uffici, l'interdizione dalla professione o dall'arte.
Art. 374.
(Frode processuale).
Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d'ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La stessa disposizione si applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata.
Art. 375.
(Circostanze aggravanti).
Nei casi preveduti dai tre articoli precedenti, la pena è della reclusione da uno a cinque anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni; è della reclusione da tre a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna superiore a cinque anni; ed è della reclusione da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all'ergastolo.
Si applica l'ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte.
Art. 376.
(Ritrattazione).
Nei casi preveduti dagli
articoli 372 e 373
, il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio, ritratta il falso e manifesta il vero prima che l'istruzione sia chiusa con sentenza di non doversi procedere, ovvero prima che il dibattimento sia chiuso, o sia rinviato a cagione della falsità.
Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile.
Art. 377.
(Subornazione).
Chiunque offre o promette denaro od altra utilità a un testimone, perito o interprete, per indurlo a una falsa testimonianza, perizia o interpretazione, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli
articoli 372 e 373
, ridotte dalla metà ai due terzi.
La stessa disposizione si applica qualora l'offerta o la promessa sia accettata, ma la falsità non sia commessa.
La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici.
Art. 378.
(Favoreggiamento personale).
Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte o l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni.
Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a lire cinquemila.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.
Art. 379.
(Favoreggiamento reale).
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e del caso preveduto dall'articolo 648, aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato, è punito con la reclusione fino a cinque anni se si tratta di delitto, e con la multa da lire cinquecento a diecimila se si tratta di contravvenzione.
Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.
Art. 380.
(Patrocinio o consulenza infedele).
Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, c rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a lire cinquemila.
La pena è aumentata:
se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;
se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.
Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a lire diecimila, se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina la pena di morte o l'ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni.
Art. 381.
(Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico).
Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, in un procedimento dinanzi all'Autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire mille.
La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da lire cinquecento a cinquemila, se il patrocinatore o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria.
Art. 382.
(Millantato credito del patrocinatore).
Il patrocinatore, che, millantando credito presso il giudice o il pubblico ministero che deve concludere, ovvero presso il testimone, il perito o l'interprete, riceve o fa dare o promettere dal suo cliente, a sé o ad un terzo, denaro o altra utilità, col pretesto di doversi procurare il favore del giudice o del pubblico ministero, o del testimone, perito o interprete, ovvero di doverli remunerare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa non inferiore a lire diecimila.
Art. 383.
(Interdizione dai pubblici uffici).
La condanna per i delitti preveduti dagli articoli 380, 381, prima parte, e 382 importa l'interdizione dai pubblici uffici.
Art. 384.
(Casi di non punibilità).
Nei casi preveduti dagli
articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 372, 373, 374 e 378
, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell'onore.
Nei casi preveduti dagli
articoli 372 e 373
, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere assunto come testimonio, perito o interprete, ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere testimonianza, perizia o interpretazione.
CAPO II.
DEI DELITTI CONTRO L'AUTORITÀ DELLE DECISIONI GIUDIZIA RIE.
Art. 385.
(Evasione).
Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione fino a sei mesi.
La pena è della reclusione fino a diciotto mesi se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da due a cinque anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite.
Le disposizioni precedenti si applicano anche al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale.
Quando l'evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita.
Art. 386.
(Procurata evasione).
Chiunque procura o agevola l'evasione di una persona legalmente arrestata o detenuta per un reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Si applica la reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso a favore di un condannato alla pena di morte o all'ergastolo.
La pena è aumentata se il colpevole, per commettere il fatto, adopera alcuno dei mezzi indicati nel primo capoverso dell'articolo precedente.
La pena è diminuita:
se il colpevole è un prossimo congiunto;
se il colpevole, nel termine di tre mesi dall'evasione, procura la cattura della persona evasa o la presentazione di lei all'Autorità.
La condanna importa in ogni caso l'interdizione dai pubblici uffici.
Art. 387.
(Colpa del custode).
Chiunque, preposto per ragione del suo ufficio alla custodia, anche temporanea, di una persona arrestata o detenuta per un reato, ne cagiona, per colpa, l'evasione, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire mille a diecimila.
Il colpevole non è punibile se nel termine di tre mesi dall'evasione procura la cattura della persona evasa o la presentazione di lei all'Autorità.
Art. 388.
(Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice).
Chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi l'Autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire mille a diecimila.
La stessa pena si applica a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito.
Il colpevole è punito a querela della persona offesa.
Art. 389.
(Inosservanza di pene accessorie).
Chiunque, avendo riportato una condanna, da cui consegue l'interdizione dai pubblici uffici, ovvero la interdizione o la sospensione da una professione o da un'arte, trasgredisce agli obblighi inerenti a tali pene, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire cinquecento a diecimila.
La stessa pena si applica a chi trasgredisce agli obblighi derivanti dalla sospensione provvisoria dall'esercizio dei pubblici uffici o di una professione o di un'arte.
Art. 390.
(Procurata inosservanza di pena).
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, aiuta taluno a sottrarsi all'esecuzione della pena è punito con la reclusione da tre mesi a cinque anni se si tratta di condannato per delitto, e con la multa da lire cinquecento a diecimila se si tratta di condannato per contravvenzione.
Si applicano le disposizioni del terzo capoverso dell'articolo 386.
Art. 391.
(Procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive).
Chiunque procura o agevola l'evasione di una persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva, ovvero nasconde l'evaso o comunque lo favorisce nel sottrarsi alle ricerche dell'Autorità, è punito con la reclusione fino a due anni. Si applicano le disposizioni del terzo capoverso dell'articolo 386.
Se l'evasione avviene per colpa di chi, per ragione del suo ufficio, ha la custodia, anche temporanea, della persona sottoposta a misura di sicurezza, il colpevole è punito con la multa fino a lire diecimila. Si applica la disposizione del capoverso dell'articolo 387.
CAPO III.
DELLA TUTELA ARBITRARIA DELLE PRIVATE RAGIONI.
Art. 392.
(Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose).
Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sè medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire cinquemila.
Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.
Art. 393.
(Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone).
Chiunque, al fine indicato nell'articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sè medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell'offeso, con la reclusione fino a un anno.
Se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose, alla pena della reclusione è aggiunta la multa fino a lire duemila.
La pena è aumentata se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi.
Art. 394.
(Sfida a duello).
Chiunque sfida altri a duello, anche se la sfida non è accettata, è punito, se il duello non avviene, con la multa di lire duecento a duemila.
La stessa pena si applica a chi accetta la sfida, sempre che il duello non avvenga.
Art. 395.
(Portatori di sfida).
I portatori della sfida sono puniti con la multa da lire duecento a duemila; ma la pena è diminuita se il duello non avviene.
Art. 396.
(Uso delle armi in duello).
Chiunque fa uso delle armi in duello è punito, anche se non cagiona all'avversario una lesione personale, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire cinquecento a diecimila.
Il duellante è punito:
con la reclusione fino a due anni, se dal fatto deriva all'avversario una lesione personale, grave o gravissima;
con la reclusione da uno a cinque anni, se dal fatto deriva la morte.
Ai padrini o secondi e alle persone, che hanno agevolato il duello, si applica la multa da lire cinquecento a diecimila.
Se i padrini o secondi sono gli stessi portatori della sfida, non si applicano loro le disposizioni dell'articolo precedente.
Art. 397.
(Casi di applicazione delle pene ordinarie stabilite per l'omicidio e per la lesione personale).
In luogo delle disposizioni dell'articolo precedente, si applicano quelle contenute nel capo primo del titolo dodicesimo:
se le condizioni del combattimento non sono state precedentemente stabilite da padrini o secondi, ovvero se il combattimento non avviene alla loro presenza;
se le armi adoperate nel combattimento non sono uguali, e non sono spade, sciabole o pistole egualmente cariche, ovvero se sono armi di precisione o a più colpi;
se nella scelta delle armi o nel combattimento è commessa frode o violazione delle condizioni stabilite;
se è stato espressamente convenuto, ovvero se risulta dalla specie del duello, o dalla distanza fra i combattenti, o dalle altre condizioni stabilite, che uno dei duellanti doveva rimanere ucciso.
La frode o la violazione delle condizioni stabilite, quanto alla scelta delle armi o al combattimento, è a carico non solo di chi ne è l'autore, ma anche di quello fra i duellanti, padrini o secondi, che ne ha avuto conoscenza prima o durante il combattimento.
Art. 398.
(Circostanze aggravanti. Casi di non punibilità).
Se il colpevole di uno dei delitti preveduti dall'articolo 394, dalla
prima parte e dal primo capoverso dell'articolo 396
, è stato la causa ingiusta e determinante del fatto, la pena è per lui raddoppiata.
Non sono punibili:
i portatori della sfida, i padrini o secondi e coloro che hanno agevolato il duello, se impediscono l'uso delle armi, ovvero se procurano la cessazione del combattimento, prima che dal medesimo sia derivata alcuna lesione;
i padrini o secondi che, prima del duello, hanno fatto quanto dipendeva da loro per conciliare le parti, o se per opera loro il combattimento ha avuto un esito meno grave di quello che altrimenti poteva avere;
il sanitario che presta la propria assistenza ai duellanti.
Art. 399.
(Duellante estraneo al fatto).
Quando taluno dei duellanti non ha avuto parte nel fatto che cagionò il duello, e si batte in vece di chi vi ha direttamente interesse, le pene stabilite nella
prima parte e nel primo capoverso dell'articolo 396
sono aumentate.
Tale aumento di pena non si applica se il duellante è un prossimo congiunto, ovvero se, essendo uno dei padrini o secondi, si è battuto in vece del suo primo assente.
Art. 400.
(Offesa per rifiuto di duello e incitamento al duello).
Chiunque pubblicamente offende una persona o la fa segno a pubblico disprezzo, perché essa o non ha sfidato o non ha accettato la sfida, o non si è battuta in duello, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire cinquecento a cinquemila.
La stessa pena di applica a chi, facendo mostra del suo disprezzo, incita altrui al duello.
Art. 401.
(Provocazione al duello per fine di lucro).
Quando chi provoca o sfida a duello, o minaccia di provocare o di sfidare, agisce con l'intento di carpire denaro o altra utilità, si applicano le disposizioni dell'articolo 629.
Si applicano altresì le disposizioni del capo primo del titolo dodicesimo, nel caso in cui in duello sia avvenuto.
TITOLO IV.
DEI DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO RELIGIOSO E CONTRO LA PIETÀ DEI DEFUNTI.
CAPO I.
DEI DELITTI CONTRO LA RELIGIONE DELLO STATO E I CULTI AMMESSI.
Art. 402.
(Vilipendio della religione dello Stato).
Chiunque pubblicamente vilipende la religione dello Stato è punito con la reclusione fino a un anno.
Art. 403.
(Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone).
Chiunque pubblicamente offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la reclusione fino a due anni.
Si applica la reclusione da uno a tre anni a chi offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di un ministro del culto cattolico.
Art. 404.
(Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose).
Chiunque, in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
La stessa pena si applica a chi commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto cattolico.
Art. 405.
(Turbamento di funzioni religiose del culto cattolico).
Chiunque impedisce o turba l'esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto cattolico, le quali si compiano con l'assistenza di un ministro del culto medesimo o in luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni.
Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni.
Art. 406.
(Delitti contro i culti ammessi nello Stato).
Chiunque commette uno dei fatti preveduti dagli
articoli 403, 404 e 405
contro un culto ammesso nello Stato è punito ai termini dei predetti articoli, ma la pena è diminuita.
CAPO II.
DEI DELITTI CONTRO LA PIETÀ DEI DEFUNTI.
Art. 407.
(Violazione di sepolcro).
Chiunque viola una tomba, un sepolcro o un'urna è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Art. 408.
(Vilipendio delle tombe).
Chiunque, in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, commette vilipendio di tombe, sepolcri o urne, o di cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad ornamento dei cimiteri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Art. 409.
(Turbamento di un funerale o servizio funebre).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 405, impedisce o turba un funerale o un servizio funebre è punito con la reclusione fino a un anno.
Art. 410.
(Vilipendio di cadavere).
Chiunque commette atti di vilipendio sopra un cadavere o sulle sue ceneri è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Se il colpevole deturpa o mutila cadavere, o commette, comunque, su questo atti di brutalità o di oscenità, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
Art. 411.
(Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere).
Chiunque distrugge, sopprime o sottrae un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne sottrae o disperde le ceneri, è punito con la reclusione da due a sette anni.
La pena è aumentata se il fatto è commesso in cimiteri o i altri luoghi di sepoltura, di deposito o di custodia.
Art. 412.
(Occultamento di cadavere).
Chiunque occulta un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne nasconde le ceneri, è punito con la reclusione fino a tre anni.
Art. 413.
(Uso illegittimo di cadavere).
Chiunque disseziona o altrimenti adopera un cadavere, o una parte di esso, a scopi scientifici o didattici, in casi non consentiti dalla legge, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fin a lire cinquemila.
La pena è aumentata se il fatto è commesso su un cadavere, o su una parte di esso, che il colpevole sappia essere stato da altri mutilato, occultato o sottratto.
TITOLO V.
DEI DELITTI CONTRO L'ORDINE PUBBLICO.
Art. 414.
(Istigazione a delinquere).
Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione:
con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a lire duemila, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.
Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1°.
Alla pena stabilita nel numero 1° soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti.
Art. 415.
(Istigazione a disobbedire alle leggi).
Chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, ovvero all'odio fra le classi sociali, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Art. 416.
(Associazione per delinquere).
Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.
Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni.
La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.
Art. 417.
(Misura di sicurezza).
Nel caso di condanna per il delitto preveduto dall'articolo precedente, è sempre ordinata una misura di sicurezza.
Art. 418.
(Assistenza agli associati).
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce il vitto a taluna delle persone che partecipano all'associazione è punito con la reclusione fino a due anni.
La pena è aumentata se il rifugio o il vitto sono prestati continuatamente.
Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Art. 419.
(Devastazione e saccheggio).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 285, commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni.
La pena è aumentata se il fatto è commesso su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito.
Art. 420.
(Pubblica intimidazione col mezzo di materie esplodenti).
Chiunque, al solo fine di incutere pubblico timore o di suscitare tumulto o pubblico disordine, fa scoppiare bombe, mortaletti o altre macchine o materie esplodenti, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Art. 421.
(Pubblica intimidazione).
Chiunque minaccia di commettere delitti contro la pubblica incolumità, ovvero fatti di devastazione o di saccheggio, in modo da incutere pubblico timore, è punito con la reclusione fino a un anno.
TITOLO VI.
DEI DELITTI CONTRO L'INCOLUMITÀ PUBBLICA.
CAPO I.
DEI DELITTI DI COMUNE PERICOLO MEDIANTE VIOLENZA.
Art. 422.
(Strage).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 285, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con la morte.
Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l'ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni.
Art. 423.
(Incendio).
Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La disposizione precedente si applica anche nel caso d'incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.
Art. 424.
(Danneggiamento seguito da incendio).
Chiunque, al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui è punito, se dal fatto sorge pericolo di un incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni.
Se segue l'incendio, si applicano le disposizioni dell'articolo precedente, ma la pena è ridotta da un terzo alla metà.
Art. 425.
(Circostanze aggravanti).
Nei casi preveduti dai due articoli precedenti, la pena è aumentata se il fatto è commesso:
su edifici pubblici o destinati ad uso pubblico, su monumenti, cimiteri e loro dipendenze;
su edifici abitati o destinati a uso di abitazione, su impianti industriali o cantieri, o su miniere, cave, sorgenti, o su acquedotti o altri manufatti destinati a raccogliere e condurre le acque;
su navi o altri edifici natanti, o su aeromobili;
su scali ferroviari o marittimi, o aeroscali, magazzini generali o altri depositi di merci o derrate, o su ammassi o depositi di materie esplodenti, infiammabili o combustibili;
su boschi, selve o foreste.
Art. 426.
(Inondazione, frana o valanga).
Chiunque cagiona un'inondazione o una frana, ovvero la caduta di una valanga, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
Art. 427.
(Danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga).
Chiunque rompe, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili chiuse, sbarramenti, argini, dighe o altre opere destinate alla difesa contro acque, valanghe o frane, ovvero alla raccolta o alla condotta delle acque, al solo scopo di danneggiamento, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di un'inondazione o di una frana, ovvero della caduta di una valanga, con la reclusione da uno a cinque anni.
Se il disastro si verifica, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Art. 428.
(Naufragio, sommersione o disastro aviatorio).
Chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di altrui proprietà, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
La pena è della reclusione da cinque a quindici anni se il fatto è commesso distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche a chi cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di sua proprietà, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.
Art. 429.
(Danneggiamento seguito da naufragio).
Chiunque, al solo scopo di danneggiare una nave, un edificio natante o un aeromobile, ovvero un apparecchio prescritto per la sicurezza della navigazione, lo deteriora, ovvero lo rende in tutto o in parte inservibile, è punito, se dal fatto deriva pericolo di naufragio, di sommersione o di disastro aviatorio, con la reclusione da uno a cinque anni.
Se dal fatto deriva il naufragio, la sommersione o il disastro, le pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Art. 430.
(Disastro ferroviario).
Chiunque cagiona un disastro ferroviario è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Art. 431.
(Pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento).
Chiunque, al solo scopo di danneggiare una strada ferrata ovvero macchine, veicoli, strumenti, apparecchi o altri oggetti che servono all'esercizio di essa, li distrugge in tutto o in parte, li deteriora o li rende altrimenti in tutto o in parte inservibili, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di un disastro ferroviario, con la reclusione a sei anni.
Se dal fatto deriva il disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Per strade ferrate la legge penale intende, oltre le strade ferrate ordinarie, ogni altra strada con rotaie metalliche, sulla quale circolino veicoli mossi dal vapore, dall'elettricità o da un altro mezzo di trazione meccanica.
Art. 432.
(Attentati alla sicurezza dei trasporti).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, pone in pericolo la sicurezza dei pubblici trasporti per terra, per acqua o per aria, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Si applica la da tre mesi a due anni a chi lancia corpi contundenti o proiettili contro veicoli in movimento, destinati a pubblici trasporti per terra, per acqua o per aria.
Se dal fatto deriva un disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Art. 433.
(Attentati alla sicurezza degli impianti di energia elettrica e del gas, ovvero delle pubbliche comunicazioni).
Chiunque attenta alla sicurezza delle officine, delle opere e degli apparecchi o di altri mezzi destinati alla produzione o alla trasmissione di energia elettrica o di gas, per la illuminazione o per le industrie, è punito, qualora dal fatto derivi pericolo alla pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica a chi attenta alla sicurezza delle pubbliche comunicazioni telegrafiche o telefoniche, qualora dal fatto derivi pericolo per la pubblica incolumità.
Se dal fatto deriva un disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Art 434.
(Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene.
Art. 435.
(Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti).
Chiunque, al fine di attentare alla pubblica incolumità, fabbrica, acquista o detiene dinamite o altre materie esplodenti, asfissianti, accecanti, tossiche o infiammabili, ovvero sostanze che servano alla composizione o alla fabbricazione di esse, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Art. 436.
(Sottrazione, occultamento o guasto di apparecchi a pubblica difesa da infortuni).
Chiunque, in occasione di un incendio, di una inondazione, di una sommersione, di un naufragio, o di un altro disastro o pubblico infortunio, sottrae, occulta o rende inservibili materiali, apparecchi o altri mezzi destinati all'estinzione dell'incendio o all'opera di difesa, di salvataggio o di soccorso, ovvero in qualsiasi modo impedisce, od ostacola, che l'incendio sia estinto, o che sia prestata opera di difesa o di assistenza, è punito con la reclusione da due a sette anni.
Art. 437.
(Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro).
Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
CAPO II.
DEI DELITTI DI COMUNE PERICOLO MEDIANTE FRODE.
Art. 438.
(Epidemia).
Chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo.
Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena di morte.
Art. 439.
(Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari).
Chiunque avvelena acque o sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.
Se dal fatto deriva la morte di alcuno, si applica l'ergastolo; e, nel caso di morte di più persone, si applica la pena di morte.
Art. 440.
(Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari).
Chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio.
La pena è aumentata se sono adulterate o contraffatte sostanze medicinali.
Art. 441.
(Adulterazione e contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute).
Chiunque adultera o contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, cose destinate al commercio, diverse da quelle indicate nell'articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni o con la multa non inferiore a lire tremila.
Art. 442.
(Commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate).
Chiunque, senza essere concorso nei reati preveduti dai tre articoli precedenti, detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose che sono state da altri avvelenate, corrotte, adulterate o contraffatte, in modo pericoloso alla salute pubblica, soggiace alle pene rispettivamente stabilite nei detti articoli.
Art. 443.
(Commercio o somministrazione di medicinali guasti).
Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire mille.
Art. 444.
(Commercio di sostanze alimentari nocive).
Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all'alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire cinquecento.
La pena è diminuita se la qualità nociva delle sostanze è nota alla persona che le acquista o le riceve.
Art. 445.
(Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica).
Chiunque, esercitando, anche abusivamente, il commercio di sostanze medicinali, le somministra in specie, qualità o quantità non corrispondente alle ordinazioni mediche, o diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire mille a diecimila.
Art. 446.
(Commercio clandestino o fraudolento di sostanze stupefacenti).
Chiunque, in modo clandestino o fraudolento, fa commercio di sostanze stupefacenti, o le detiene allo scopo di farne commercio clandestino o fraudolento, ovvero le somministra o procura ad altri clandestinamente o fraudolentemente, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a lire mille.
La pena è aumentata se alcuna delle sostanze suddette è venduta o consegnata a persona minore degli anni diciotto, ovvero in condizione d'infermità o deficienza psichica, o a chi è dedito all'uso di sostanze stupefacenti.
Art. 447.
(Agevolazione dolosa dell'uso di sostanze stupefacenti).
Chiunque, senza essere concorso nel delitto preveduto dall'articolo precedente, adibisce o lascia che sia adibito un locale, pubblico o privato, a convegno di persone che vi accedano per darsi all'uso di sostanze stupefacenti, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire cinquecento a diecimila.
Si applica la reclusione fino a sei mesi o la multa da lire mille a cinquemila a chi accede nei detti locali per darsi all'uso di sostanze stupefacenti.
Art. 448.
(Pene accessorie).
La condanna per taluno dei delitti preveduti da questo capo importa la pubblicazione della sentenza.
CAPO III.
DEI DELITTI COLPOSI DI COMUNE PERICOLO.
Art. 449.
(Delitti colposi di danno).
Chiunque cagiona per colpa un incendio, o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è raddoppiata se si tratta di disastro ferroviario o di naufragio o di sommersione di una nave adibita a trasporto di persone o di caduta di un aeromobile adibito a trasporto di persone.
Art. 450.
(Delitti colposi di pericolo).
Chiunque, con la propria azione od omissione colposa, fa sorgere o persistere il pericolo di un disastro ferroviario, di un'inondazione, di un naufragio, o della sommersione di una nave o di un altro edificio natante, è punito con la reclusione fino a due anni.
La reclusione non è inferiore a un anno se il colpevole ha trasgredito ad una particolare ingiunzione dell'Autorità diretta alla rimozione del pericolo.
Art. 451.
(Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro).
Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o alti mezzi destinati alla estinzione di un incendio, o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire mille a cinquemila.
Art. 452.
(Delitti colposi contro la salute pubblica).
Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli
articoli 438 e 439
è punito:
con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte;
con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l'ergastolo;
con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l'articolo 439 stabilisce la pena della reclusione.
Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli
articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445
si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto.
TITOLO VII.
DEI DELITTI CONTRO LA FEDE PUBBLICA.
CAPO I.
DELLA FALSITÀ IN MONETE, IN CARTE DI PUBBLICO CREDITO E IN VALORI DI BOLLO.
Art. 453.
(Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate).
È punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da lire cinquemila a trentamila:
chiunque contraffà monete nazionali o straniere aventi corso legale nello Stato o fuori;
chiunque altera in qualsiasi modo monete genuine, col dare ad esse l'apparenza di un valore superiore;
chiunque non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, ma di concerto con chi l'ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate;
chiunque, al fine di metterle in circolazione, acquista o comunque riceve, da chi le ha falsificate, ovvero da un intermediario, monete contraffatte o alterate.
Art. 454.
(Alterazione di monete).
Chiunque altera monete della qualità indicata nell'articolo precedente, scemandone in qualsiasi modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette alcuno dei fatti indicati nei
numeri 3° e 4°
del detto articolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire mille a cinquemila.
Art. 455.
(Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, introduce nel territorio dello Stato, acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spende o le mette altrimenti in circolazione, soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte da un terzo alla metà.
Art. 456.
(Circostanze aggravanti).
Le pene stabilite negli
articoli 453 e 455
sono aumentate se dai fatti ivi preveduti deriva una diminuzione nel prezzo della valuta o dei titoli di Stato, o ne è compromesso il credito nei mercati interni o esteri.
Art. 457.
(Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede).
Chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute in buona fede, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire diecimila.
Art. 458.
(Parificazione delle carte di pubblico credito alle monete).
Agli effetti della legge penale, sono parificate alle monete le carte di pubblico credito.
Per carte di pubblico credito s'intendono, oltre quelle che hanno corso legale come moneta, le carte e cedole al portatore emesse dai governi, e tutte le altre aventi corso legale emesse da istituti a ciò autorizzati.
Art. 459.
(Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati).
Le disposizioni degli
articoli 453, 455 e 457
si applicano anche alla contraffazione o alterazione di valori di bollo e alla introduzione nel territorio dello Stato, o all'acquisto, detenzione e messa in circolazione di valori di bollo contraffatti; ma le pene sono ridotte di un terzo.
Agli effetti della legge penale, s'intendono per valori di bollo la carta bollata, le marche da bollo, i francobolli e gli altri valori equiparati a questi da leggi speciali.
Art. 460.
(Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo).
Chiunque contraffà la carta filigranata che si adopera per la fabbricazione delle carte di pubblico credito o dei valori di bollo, ovvero acquista, detiene o aliena tale carta contraffatta, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire tremila a diecimila.
Art. 461.
(Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata).
Chiunque fabbrica, acquista, detiene o aliena filigrane o strumenti destinati esclusivamente alla contraffazione o alterazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire mille a cinquemila.
Art. 462.
(Falsificazione di biglietti di pubbliche imprese di trasporto).
Chiunque contraffà o altera biglietti di strade ferrate o di altre pubbliche imprese di trasporto, ovvero, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, acquista o detiene al fine di metterli in circolazione, o mette in circolazione tali biglietti contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa da lire cento a duemila.
Art. 463.
(Casi di non punibilità).
Non è punibile chi, avendo commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli precedenti, riesce, prima che l'Autorità ne abbia notizia, a impedire la contraffazione, l'alterazione, la fabbricazione o la circolazione delle cose indicate negli articoli stessi.
Art. 464.
(Uso di valori di bollo contraffatti o alterati).
Chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, fa uso di valori di bollo contraffatti o alterati è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire cinquemila.
Se i valori sono stati ricevuti in buona fede, si applica la pena stabilita nell'articolo 457, ridotta di un terzo.
Art. 465.
(Uso di biglietti falsificati di pubbliche imprese di trasporto).
Chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, fa uso di biglietti di strade ferrate o di altre pubbliche imprese di trasporto, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire cento a duemila.
Se i biglietti sono stati ricevuti in buona fede, si applica soltanto la multa fino a lire trecento.
Art. 466.
(Alterazioni di segni nei valori di bollo o nei biglietti usati e uso degli oggetti così alterati).
Chiunque cancella o fa in qualsiasi modo scomparire, da valori di bollo o da biglietti di strade ferrate o di altre pubbliche imprese di trasporto, i segni appostivi per indicare l'uso già fattone, è punito,qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire cento a duemila.
Alla stessa pena soggiace chi, senza essere concorso nell'alterazione, fa uso dei valori di bollo o dei biglietti alterati. Si applica la sola multa fino a lire trecento, se le cose sono state ricevute in buona fede.
CAPO II.
DELLA FALSITÀ IN SIGILLI O STRUMENTI O SEGNI DI AUTENT ICAZIONE, CERTIFICAZIONE O RICONOSCIMENTO.
Art. 467.
(Contraffazione del sigillo dello Stato e uso del sigillo contraffatto).
Chiunque contraffà il sigillo dello Stato, destinato a essere apposto sugli atti del Governo, ovvero, non essendo concorso nella contraffazione, fa uso di tale sigillo da altri contraffatto, è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da lire mille a ventimila.
Art. 468.
(Contraffazione di altri pubblici sigilli o strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione e uso di tali sigilli e strumenti contraffatti).
Chiunque contraffà il sigillo di un ente pubblico o di un pubblico ufficio, ovvero, non essendo concorso nella contraffazione, fa uso di tale sigillo contraffatto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire mille a diecimila.
La stessa pena si applica a chi contraffà altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione, fa uso di tali strumenti.
Art. 469.
(Contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione o certificazione).
Chiunque, con mezzi diversi dagli strumenti indicati negli articoli precedenti, contraffà le impronte di una pubblica autenticazione o certificazione, ovvero, non essendo concorso nella contraffazione, fa uso della cosa che reca l'impronta contraffatta, soggiace alle pene rispettivamente stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.
Art. 470.
(Vendita o acquisto di cose con impronte contraffatte di una pubblica autenticazione o certificazione).
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati preveduti dagli articoli precedenti, pone in vendita o acquista cose sulle quali siano le impronte contraffatte di una pubblica autenticazione o certificazione, soggiace alle pene rispettivamente stabilite per i detti reati.
Art. 471.
(Uso abusivo di sigilli e strumenti veri).
Chiunque, essendosi procurati i veri sigilli o i veri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione, ne fa uso a danno altrui, o a profitto di sé o di altri, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire tremila.
Art. 472.
(Uso o detenzione di misure o pesi con falsa impronta).
Chiunque fa uso, a danno altrui, di misure o di pesi con l'impronta legale contraffatta o alterata, o comunque alterati, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire cinquemila.
La stessa pena si applica a chi nell'esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, detiene misure o pesi con l'impronta legale contraffatta o alterata, ovvero comunque alterati.
Agli effetti della legge penale, nella denominazione di misure o di pesi è compreso qualsiasi strumento per misurare o pesare.
Art. 473.
(Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali).
Chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell'ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire ventimila.
Alla stessa pena soggiace chi contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatto o alterati.
Le disposizioni precedenti si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
Art. 474.
(Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi).
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall'articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire ventimila.
Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.
Art. 475.
(Pena accessoria).
La condanna per alcuno dei delitti preveduti dai due articoli precedenti importa la pubblicazione della sentenza.
CAPO III.
DELLA FALSITÀ IN ATTI.
Art. 476.
(Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici).
Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni.
Art. 477.
(Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative).
Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, contraffà o altera certificati o autorizzazioni amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire adempiute le condizioni richieste per la loro validità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Art. 478.
(Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti).
Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, supponendo esistente un atto pubblico o privato, ne simula una copia e la rilascia in forma legale, ovvero rilascia una copia di un atto pubblico o privato diversa dall'originale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a otto anni.
Se la falsità è commessa dal pubblico ufficiale in un attestato sul contenuto di atti, pubblici o privati, la pena è della reclusione da uno a tre anni.
Art. 479.
(Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici).
Il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero, omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell'articolo 476.
Art. 480.
(Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative).
Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente, in certificati o autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.
Art. 481.
(Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità).
Chiunque, nell'esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire cinquecento a cinquemila.
Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.
Art. 482.
(Falsità materiale commessa dal privato).
Se alcuno dei fatti preveduti dagli
articoli 476, 477 e 478
è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell'esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.
Art. 483.
(Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico).
Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.
Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.
Art 484.
(Falsità in registri e notificazioni).
Chiunque, essendo per legge obbligato a fare registrazioni soggette all'ispezione dell'Autorità di pubblica sicurezza, o a fare notificazioni all'Autorità stessa circa le proprie operazioni industriali, commerciali o professionali, scrive o lascia scrivere false indicazioni è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire tremila.
Art. 485.
(Falsità in scrittura privata).
Chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa, o altera una scrittura privata vera, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata.
Art. 486.
(Falsità in foglio firmato in bianco. Atto privato).
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per un titolo che importi l'obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o fa scrivere un atto privato produttivo di effetti giuridici, diverso da quello a cui era obbligato o autorizzato, è punito, se del foglio faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Si considera firmato in bianco il foglio in cui il sottoscrittore abbia lasciato bianco un qualsiasi spazio destinato a essere riempito.
Art. 487.
(Falsità in foglio firmato in bianco. Atto pubblico).
Il pubblico ufficiale, che, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per ragione del suo ufficio e per un titolo che importa l'obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o vi fa scrivere un atto pubblico diverso da quello a cui era obbligato o autorizzato, soggiace alle pene rispettivamente stabilite negli
articoli 479 e 480
.
Art. 488.
(Altre falsità in foglio firmato in bianco. Applicabilità delle disposizioni sulle falsità materiali).
Ai casi di falsità su un foglio firmato in bianco diversi da quelli preveduti dai due articoli precedenti, si applicano le disposizioni sulle falsità materiali in atti pubblici o in scritture private.
Art. 489.
(Uso di atto falso).
Chiunque, senza essere concorso nella falsità, fa uso di un atto falso soggiace alle pene stabilite negli articoli precedenti, ridotte di un terzo.
Qualora si tratti di scritture private, chi commette il fatto è punibile soltanto se ha agito al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.
Art. 490.
(Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri).
Chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico o una scrittura privata veri soggiace rispettivamente alle pene stabilite negli
articoli 476, 477, 482 e 485
, secondo le distinzioni in essi contenute.
Si applica la disposizione del capoverso dell'articolo precedente.
Art. 491.
(Documenti equiparati agli atti pubblici agli effetti della pena).
Se alcuna delle falsità prevedute dagli articoli precedenti riguarda un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, in luogo della pena stabilita per la falsità in scrittura privata nell'articolo 485, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell'articolo 476 e nell'articolo 482.
Nel caso di contraffazione o alterazione di alcuno degli atti suddetti, chi ne fa uso, senza essere concorso nella falsità, soggiace alla pena stabilita nell'articolo 489 per l'uso di atto pubblico falso.
Art. 492.
(Copie autentiche che tengono luogo degli originali mancanti).
Agli effetti delle disposizioni precedenti, nella denominazione di atti pubblici e di scritture private sono compresi gli atti originali e le copie autentiche di essi, quando a norma di legge tengano luogo degli originali mancanti.
Art. 493.
(Falsità commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico).
Le disposizioni degli articoli precedenti sulle falsità commesse da pubblici ufficiali si applicano altresì agli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, incaricati di un pubblico servizio, relativamente agli atti che essi redigono nell'esercizio delle loro attribuzioni.
CAPO IV.
DELLA FALSITÀ PERSONALE.
Art. 494.
(Sostituzione di persona).
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno.
Art. 495.
(Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri).
Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l'identità o lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona è punito con la reclusione fino a tre anni.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata a essere riprodotta in un atto pubblico.
La reclusione non è inferiore ad un anno:
se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile;
se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all'Autorità giudiziaria, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto un falso nome.
La pena è diminuita se chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per se o per altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci.
Art. 496.
(False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri).
Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale, o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire cinquemila.
Art. 497.
(Frode nel farsi rilasciare certificati del casellario giudiziale e uso indebito di tali certificati).
Chiunque si procura con frode un certificato del casellario giudiziale o un altro certificato penale relativo ad altra persona, ovvero ne fa uso per uno scopo diverso da quello per cui esso è domandato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire cinquemila.
Art. 498.
(Usurpazione di titoli o di onori).
Chiunque abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico, o di un corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ovvero indossa abusivamente in pubblico l'abito ecclesiastico, è punito con la multa da lire mille a diecimila.
Alla stessa pena soggiace chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni, indicati nella disposizione precedente.
La condanna importa la pubblicazione della sentenza.
TITOLO VIII.
DEI DELITTI CONTRO L'ECONOMIA PUBBLICA, L'INDUSTRIA E IL COMMERCIO.
CAPO I.
DEI DELITTI CONTRO L'ECONOMIA PUBBLICA.
Art. 499.
(Distruzione di materie prime o di prodotti agricoli o industriali ovvero di mezzi di produzione).
Chiunque, distruggendo materie prime o prodotti agricoli o industriali, ovvero mezzi di produzione, cagiona un grave nocumento alla produzione nazionale o fa venir meno in misura notevole merci di comune o largo consumo, è punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa non inferiore a lire ventimila.
Art. 500.
(Diffusione di una malattia delle piante o degli animali).
Chiunque cagiona la diffusione di una malattia alle piante o agli animali, pericolosa all'economia rurale o forestale, ovvero al patrimonio zootecnico della nazione, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se la diffusione avviene per colpa, la pena è della multa da lire mille a ventimila.
Art. 501.
(Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio).
Chiunque, al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a lire tremila.
Se l'aumento o la diminuzione del prezzo delle merci o dei valori si verifica, le pene sono aumentate.
Le pene sono raddoppiate:
se il fatto è commesso dal cittadino per favorire interessi stranieri;
se dal fatto deriva un deprezzamento della valuta nazionale o dei titoli dello Stato, ovvero il rincaro di merci di comune o largo consumo.
Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche se il fatto è commesso all'estero, in danno della valuta nazionale o di titoli pubblici italiani.
La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici.
Art. 502.
(Serrate e sciopero per fini contrattuali).
Il datore di lavoro, che, col solo scopo d'imporre ai suoi dipendenti modificazioni ai patti stabiliti, o di opporsi a modificazioni di tali patti, ovvero di ottenere o impedire una diversa applicazione dei patti o usi esistenti, sospende in tutto o in parte il lavoro nei suoi stabilimenti, aziende o uffici, è punito con la multa non inferiore a lire diecimila.
I lavoratori addetti a stabilimenti, aziende o uffici, che, in numero di tre o più, abbandonano collettivamente il lavoro, ovvero lo prestano in modo da turbarne la continuità o la regolarità, col solo scopo di imporre ai datori di lavoro patti diversi da quelli stabiliti, ovvero di opporsi a modificazioni di tali patti o, comunque, di ottenere o impedire una diversa applicazione dei patti o usi esistenti, sono puniti con la multa fino a lire mille.
Art. 503.
(Serrata e sciopero per fini non contrattuali).
Il datore di lavoro o i lavoratori, che per fine politico commettono, rispettivamente, alcuno dei fatti preveduti dall'articolo precedente, sono puniti con la reclusione fino a un anno e con la multa non inferiore a lire diecimila, se si tratta d'un datore di lavoro, ovvero con la reclusione fino a sei mesi e con la multa fino a lire mille, se si tratta di lavoratori.
Art. 504.
(Coazione alla pubblica Autorità mediante serrata o sciopero).
Quando alcuno dei fatti preveduti dall'articolo 502 è commesso con lo scopo di costringere l'Autorità a dare o ad omettere un provvedimento, ovvero con lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa, si applica la pena della reclusione fino a due anni.
Art. 505.
(Serrata o sciopero a scopo di solidarietà o di protesta).
Il datore di lavoro o i lavoratori, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commettono uno dei fatti preveduti dall'articolo 502 soltanto per solidarietà con altri datori di lavoro o con altri lavoratori ovvero soltanto per protesta, soggiacciono alle pene ivi stabilite.
Art. 506.
(Serrata di esercenti di piccole industrie o commerci).
Gli esercenti di aziende industriali o commerciali, i quali, non avendo lavoratori alla loro dipendenza, in numero di tre o più sospendono collettivamente il lavoro per uno degli scopi indicati nei tre articoli precedenti, soggiacciono alle pene ivi rispettivamente stabilite per i datori di lavoro, ridotte alla metà.
Art. 507.
(Boicottaggio).
Chiunque, per uno degli scopi indicati negli
articoli 502, 503, 504 e 505
, mediante propaganda o valendosi della forza e Autorità di partiti, leghe o associazioni, induce una o più persone a non stipulare patti di lavoro o a non somministrare materie o strumenti necessari al lavoro, ovvero a non acquistare gli altrui prodotti agricoli o industriali, è punito con la reclusione fino a tre anni.
Se concorrono fatti di violenza o di minaccia, si applica la reclusione da due a sei anni.
Art. 508.
(Arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole o industriali. Sabotaggio).
Chiunque, col solo scopo d'impedire o turbare il normale svolgimento del lavoro, invade od occupa l'altrui azienda agricola o industriale, ovvero dispone di altrui macchine, scorte, apparecchi o strumenti destinati alla produzione agricola o industriale, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a lire mille.
Soggiace alla reclusione da sei mesi a quattro anni e alla multa non inferiore a lire cinquemila, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, chi danneggia gli edifici adibiti ad azienda agricola o industriale, ovvero un'altra delle cose indicate nella disposizione precedente.
Art. 509.
(Inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro e delle decisioni del magistrato del lavoro).
Il datore di lavoro o il lavoratore, il quale non adempie gli obblighi che gli derivano da un contratto collettivo o dalle norme emanate dagli organi corporativi, è punito con la multa fino a lire cinquemila.
Il datore di lavoro o il lavoratore, il quale rifiuta o, comunque, omette di eseguire una decisione del magistrato del lavoro, pronunziata su una controversia relativa alla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire diecimila.
Art. 510.
(Circostanze aggravanti).
Quando i fatti preveduti dagli articoli 502 e seguenti sono commessi in tempo di guerra, ovvero hanno determinato dimostrazioni, tumulti o sommosse popolari, le pene stabilite negli articoli stessi sono aumentate.
Art. 511.
(Pena per i capi, promotori e organizzatori).
Le pene stabilite per i delitti preveduti dagli articoli 502 e seguenti sono raddoppiate per i capi, promotori od organizzatori; e, se sia stabilita dalla legge la sola pena pecuniaria, è aggiunta la reclusione da sei mesi a due anni.
Art. 512.
(Pena accessoria).
La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 502 e seguenti importa l'interdizione da ogni ufficio sindacale per la durata di anni cinque.
CAPO II.
DEI DELITTI CONTRO L'INDUSTRIA E IL COMMERCIO.
Art. 513.
(Turbata libertà dell'industria o del commercio).
Chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l'esercizio di un'industria o di un commercio è punito , a querela della persona offesa, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire mille a diecimila.
Art. 514.
(Frodi contro le industrie nazionali).
Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all'industria nazionale è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire cinquemila.
Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli
articoli 473 e 474
.
Art. 515.
(Frode nell'esercizio del commercio).
Chiunque, nell'esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire ventimila.
Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a lire mille.
Art. 516.
(Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine).
Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire diecimila.
Art. 517.
(Vendita di prodotti industriali con segni mendaci).
Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire diecimila.
CAPO III.
DISPOSIZIONE COMUNE AI CAPI PRECEDENTI.
Art. 518.
(Pubblicazione della sentenza).
La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli
articoli 501, 514, 515, 516 e 517
importa la pubblicazione della sentenza.
TITOLO IX.
DEI DELITTI CONTRO LA MORALITÀ PUBBLICA E IL BUON COSTUME.
CAPO I.
DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ SESSUALE.
Art. 519.
(Della violenza carnale).
Chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi si congiunge carnalmente con persona la quale al momento del fatto:
non ha compiuto gli anni quattordici;
non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole ne è l'ascendente o il tutore, ovvero è un'altra persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, d'istruzione, di vigilanza o di custodia;
è malata di mente, ovvero non è in grado di resistergli a cagione delle proprie condizioni d'inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole;
è stata tratta in inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Art. 520.
(Congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale).
Il pubblico ufficiale, che, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, si congiunge carnalmente con una persona arrestata o detenuta, di cui ha la custodia per ragione del suo ufficio, ovvero con persona che è a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell'Autorità competente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica se il fatto è commesso da un altro pubblico ufficiale, rivestito, per ragione del suo ufficio, di qualsiasi Autorità sopra taluna delle persone suddette.
Art. 521.
(Atti di libidine violenti).
Chiunque, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, commette su taluno atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.
Alle stesse pene soggiace chi, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, costringe o induce taluno a commettere gli atti di libidine su sè stesso, sulla persona del colpevole o su altri.
Art. 522.
(Ratto a fine di matrimonio).
Chiunque, con violenza, minaccia o inganno, sottrae o ritiene, per fine di matrimonio, una donna non coniugata, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Se il fatto è commesso in danno di una persona dell'uno o dell'altro sesso, non coniugata, maggiore degli anni quattordici e minore degli anni diciotto, la pena è della reclusione da due a cinque anni.
Art. 523.
(Ratto a fine di libidine).
Chiunque, con violenza, minaccia o inganno, sottrae o ritiene, per fine di libidine, un minore, ovvero una donna maggiore di età, è punito con la reclusione da tre a cinque anni.
La pena è aumentata se il fatto è commesso a danno di persona che non ha ancora compiuto gli anni diciotto ovvero di una donna coniugata.
Art. 524.
(Ratto di persona minore degli anni quattordici o inferma, a fine di libidine o di matrimonio).
Le pene stabilite nei capoversi dei due articoli precedenti si applicano anche a chi commette il fatto ici preveduto, senza violenza, minaccia o inganno, in danno di persona minore degli anni quattordici o malata di mente, o che non sia, comunque, in grado di resistergli, a cagione delle proprie condizioni d'inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole.
Art. 525.
(Circostanze attenuanti).
Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono diminuite se il colpevole, prima della condanna, senza aver commesso alcun fatto di libidine in danno della persona rapita, la restituisce spontaneamente in libertà, riconducendola alla casa donde la tolse o a quella della famiglia di lei, o collocandola in un altro luogo sicuro, a disposizione della famiglia stessa.
Art. 526.
(Seduzione con promessa di matrimonio commessa da persona coniugata).
Chiunque, con promessa di matrimonio, seduce una donna minore di età, inducendola in errore sul proprio stato di persona coniugata, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.
Vi è seduzione quando vi è stata congiunzione carnale.
CAPO II.
DELLE OFFESE AL PUDORE E ALL'ONORE SESSUALE.
Art. 527.
(Atti osceni).
Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.
Se il fatto avviene per colpa, la pena è della multa da lire trecento a tremila.
Art. 528.
(Pubblicazioni e spettacoli osceni).
Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire mille.
Alla stessa pena soggiace chi fa commercio, anche se clandestino, degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li distribuisce o espone pubblicamente.
Tale pena si applica inoltre a chi:
adopera qualsiasi mezzo di pubblicità atto a favorire la circolazione o il commercio degli oggetti indicati nella prima parte di questo articolo;
dà pubblici spettacoli teatrali o cinematografici, ovvero audizioni o recitazioni pubbliche, che abbiano carattere di oscenità.
Nel caso preveduto dal numero 2°, la pena è aumentata se il fatto è commesso nonostante il divieto dell'Autorità.
Art. 529.
(Atti e oggetti osceni: nozione).
Agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore.
Non si considera oscena l'opera d'arte o l'opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto.
Art. 530.
(Corruzione di minorenni).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli
articoli 519, 520 e 521
, commette atti di libidine su persona o in presenza di persona minore degli anni sedici, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce persona minore degli anni sedici a commettere atti di libidine su sè stesso, sulla persona del colpevole, o su altri.
La punibilità è esclusa se il minore è persona già moralmente corrotta.
Art. 531.
(Istigazione alla prostituzione e favoreggiamento).
Chiunque, per servire all'altrui libidine, induce alla prostituzione una persona di età minore, o in stato d'infermità o deficienza psichica, ovvero ne eccita la corruzione, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire tremila a diecimila. Se soltanto ne agevola la prostituzione o la corruzione, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire tremila a diecimila.
La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di una minorenne coniugata, ovvero di una persona minore affidata al colpevole per ragione di servizio o di lavoro.
La pena è raddoppiata:
se il fatto è commesso in danno di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
se il colpevole è un ascendente, un affine in linea retta ascendente, il padre o la madre adottivi, il marito, il fratello, la sorella, il tutore;
se al colpevole la persona è stata affidata per ragione di cura, di educazione, d'istruzione, di vigilanza o di custodia.
Art. 532.
(Istigazione alla prostituzione da una discendente, della moglie, della sorella).
Chiunque, per servire all'altrui libidine, induce alla prostituzione la discendente, la moglie, la sorella, ovvero l'affine in linea retta discendente, le quali siano maggiori di età, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire tremila a diecimila.
Se il colpevole ha soltanto agevolato la prostituzione, la pena è ridotta della metà.
Art. 533.
(Costrizione alla prostituzione).
Chiunque, per servire all'altrui libidine, con violenza o minaccia, costringe una persona di età minore o una donna maggiorenne alla prostituzione è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire cinquemila a quindicimila.
La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di donna coniugata, ovvero di una persona minore affidata al colpevole per ragione di servizio o di lavoro.
La pena è raddoppiata nei casi preveduti dai
numeri 1°, 2° e 3° dell'articolo 531
.
Art. 534.
(Sfruttamento di prostitute).
Chiunque si fa mantenere, anche in parte, da una donna, sfruttando i guadagni che essa ricava dalla sua prostituzione, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire mille a diecimila.
Art. 535.
(Tratta di donne e di minori).
Chiunque, sapendo che una persona di età minore, o una donna maggiorenne in stato d'infermità o deficienza psichica, sarà, nel territorio di un altro Stato, tratta alla prostituzione, la induce a recarvisi, ovvero s'intromette per agevolarne la partenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire tremila.
La pena è raddoppiata nei casi preveduti dai
numeri 1°, 2° e 3° dell'articolo 531
, ovvero se il fatto è commesso in danno di due o più persone, anche se dirette in paesi diversi.
Art. 536.
(Tratta di donne e di minori, mediante violenza, minaccia o inganno).
Chiunque, sapendo che una persona di età minore, o una donna maggiorenne, sarà, nel territorio di un altro Stato, tratta alla prostituzione, la costringe, con violenza o minaccia, a recarvisi è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire cinquemila.
Alla stessa pena soggiace chi, con inganno, determina una donna maggiorenne a recarsi nel territorio di un altro Stato, ovvero si intromette per agevolarne la partenza, sapendo che all'estero sarà tratta alla prostituzione.
Si applicano i capoversi dell'articolo 533.
Art. 537.
(Tratta di donne e di minori commessa all'estero).
I delitti preveduti dai due articoli precedenti sono punibili anche se commessi da un cittadino in territorio estero.
Art. 538.
(Misura di sicurezza).
Alla condanna per il delitto preveduto dall'articolo 531 può essere aggiunta una misura di sicurezza detentiva. La misura di sicurezza detentiva è sempre aggiunta nei casi preveduti dagli
articolo 532, 533, 534, 535 e 536
.
CAPO III.
DISPOSIZIONI COMUNI AI CAPI PRECEDENTI.
Art. 539.
(Età della persona offesa).
Quando i delitti preveduti in questo titolo sono commessi in danno di un minore degli anni quattordici, il colpevole non può invocare a propria scusa l'ignoranza dell'età dell'offeso.
Art. 540.
(Rapporto di parentela).
Agli effetti della legge penale, quando il rapporto di parentela è considerato come elemento costitutivo o come circostanza aggravante o attenuante o come causa di non punibilità, la filiazione illegittima è equiparata alla filiazione legittima.
Il rapporto di filiazione illegittima è stabilito osservando i limiti di prova indicati dalla legge civile, anche se per effetti diversi dall'accertamento dello stato delle persone.
Art. 541.
(Pene accessorie ed altri effetti penali).
La condanna per alcuno dei delitti preveduti in questo titolo importa la perdita della patria potestà o dell'autorità maritale o l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla cura, quando la qualità di genitore, di marito, di tutore o di curatore è elemento costitutivo o circostanza aggravante.
La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli
articoli 519, 521, 530, 531, 532, 533, 534, 535, 536 e 537
importa la perdita del diritto agli alimenti e dei diritti successori verso la persona offesa.
Art. 542.
(Querela dell'offeso).
I delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530 sono punibili a querela della persona offesa.
La querela proposta è irrevocabile.
Si procede tuttavia d'ufficio:
se il fatto è commesso dal genitore o dal tutore, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio;
se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.
Art. 543.
(Diritto di querela).
Quando la persona offesa muore prima che la querela sia proposta da lei o da coloro che ne hanno la rappresentanza a norma degli
articoli 120 e 121
, il diritto di querela spetta ai genitori e al coniuge.
Tale disposizione non si applica se la persona offesa ha rinunciato, espressamente o tacitamente, al diritto di querelarsi.
Art. 544.
(Causa speciale di estinzione del reato).
Per i delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio, che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali.
TITOLO X.
DEI DELITTI CONTRO LA INTEGRITÀ E LA SANITÀ DELLA STIRPE.
Art. 545.
(Aborto di donna non consenziente).
Chiunque cagiona l'aborto di una donna, senza il consenso di lei, è punito con la reclusione da sette a dodici anni.
Art. 546.
(Aborto di donna consenziente).
Chiunque cagiona l'aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la reclusione da due a cinque anni.
La stessa pena si applica alla donna che ha consentito all'aborto.
Si applica la disposizione dell'articolo precedente:
se la donna è minore degli anni quattordici o, comunque, non ha capacità d'intendere o di volere;
se il consenso è estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero è carpito con inganno.
Art. 547.
(Aborto procuratosi dalla donna).
La donna che si procura l'aborto è punita con la reclusione da uno a quattro anni.
Art. 548.
(Istigazione all'aborto).
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato preveduto dall'articolo precedente, istiga una donna incinta ad abortire, somministrandole mezzi idonei, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Art. 549.
(Morte o lesione della donna).
Se dal fatto preveduto dall'articolo 545 deriva la morte della donna, si applica la reclusione da dodici a venti anni; se deriva una lesione personale, si applica la reclusione da dieci a quindici anni.
Se dal fatto preveduto dall'articolo 546 deriva la morte della donna, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni; se deriva una lesione personale, è della reclusione da tre a otto anni.
Art. 550.
(Atti abortivi su donna ritenuta incinta).
Chiunque somministra a una donna creduta incinta mezzi diretti a procurarle l'aborto, o comunque commette su lei atti diretti a questo scopo, soggiace, se dal fatto deriva una lesione personale o la morte della donna alle pene rispettivamente stabilite dagli
articoli 582, 583 e 584
.
Qualora il fatto sia commesso col consenso della donna, la pena è diminuita.
Art. 551.
(Causa di onore).
Se alcuno dei fatti preveduti dagli
articoli 545, 546, 547, 548, 549 e 550
è commesso per salvare l'onore proprio o quello di un prossimo congiunto, le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi.
Art. 552.
(Procurata impotenza alla procreazione).
Chiunque compie, su persona dell'uno o dell'altro sesso, col consenso di questa, atti diretti a renderla impotente alla procreazione è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire mille a cinquemila.
Alla stessa pena soggiace chi ha consentito al compimento di tali atti sulla propria persona.
Art. 553.
(Incitamento a pratiche contro la procreazione).
Chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda a favore di esse è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire diecimila.
Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.
Art. 554.
(Contagio di sifilide e di blenorragia).
Chiunque, essendo affetto da sifilide e occultando tale suo stato, compie su taluno atti tali da cagionargli il pericolo di contagio, è punito, se il contagio avviene, con la reclusione da uno a tre anni.
Alla stessa pena soggiace chi, essendo affetto da blenorragia e occultando tale suo stato, compie su taluno gli atti preveduti dalla disposizione precedente, se il contagio avviene e da esso deriva una lesione personale gravissima.
In ambedue i casi il colpevole è punito a querela della persona offesa.
Se il colpevole ha agito a fine di cagionare il contagio, si applicano le disposizioni degli
articoli 583, 584 e 585
.
Art. 555.
(Circostanza aggravante e pena accessoria).
Se il colpevole di uno dei delitti preveduti dall'articolo 545, dalla
prima parte e dal secondo capoverso dell'articolo 546
, dagli
articoli 548, 549, 550
, dalla prima parte dell'articolo 552 e dall'articolo 553 è persona che esercita una professione sanitaria, la pena è aumentata.
Nel caso di recidiva, l'interdizione dalla professione sanitaria è perpetua.
TITOLO XI.
DEI DELITTI CONTRO LA FAMIGLIA.
CAPO I.
DEI DELITTI CONTRO IL MATRIMONIO.
Art. 556.
(Bigamia).
Chiunque, essendo legato da matrimonio avente effetti civili, ne contrae un altro pur avente effetti civili, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi, non essendo coniugato, contrae matrimonio con persona legata da matrimonio avente effetti civili.
La pena è aumentata se il colpevole ha indotto in errore la persona, con la quale ha contratto matrimonio, sulla libertà dello stato proprio di lei.
Se il matrimonio, contratto precedentemente dal bigamo, è dichiarato nullo, ovvero è annullato il secondo matrimonio per causa diversa dalla bigamia, il reato è estinto, anche rispetto a coloro che sono concorsi nel reato, e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali.
Art. 557.
(Prescrizione del reato).
Il termine della prescrizione per il delitto preveduto dall'articolo precedente decorre dal giorno in cui è sciolto uno dei due matrimoni o è dichiarato nullo il secondo per bigamia.
Art. 558.
(Induzione al matrimonio mediante inganno).
Chiunque, nel contrarre matrimonio avente effetti civili, con mezzi fraudolenti occulta all'altro coniuge l'esistenza di un impedimento che non sia quello derivante da un precedente matrimonio è punito, se il matrimonio è annullato a causa dell'impedimento occultato, con la reclusione fino a un anno ovvero con la multa da lire duemila a diecimila.
Art. 559.
(Adulterio).
La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno.
Con la stessa pena è punito il correo dell'adultera.
La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina.
Il delitto è punibile a querela del marito.
Art. 560.
(Concubinato).
Il marito, che tiene una concubina nella casa coniugale, o notoriamente altrove, è punito con la reclusione fino a due anni.
La concubina è punita con la stessa pena.
Il delitto è punibile a querela della moglie.
Art. 561.
(Casi di non punibilità. Circostanza attenuante).
Nel caso preveduto dall'articolo 559, non è punibile la moglie quando il marito l'abbia indotta o eccitata alla prostituzione ovvero abbia comunque tratto vantaggio dalla prostituzione di lei.
Nei casi preveduti dai due articoli precedenti non è punibile il coniuge legalmente separato per colpa dell'altro coniuge, ovvero da questo ingiustamente abbandonato. Se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato per colpa propria o per colpa propria e dell'altro coniuge o per mutuo consenso, la pena è diminuita.
Art. 562.
(Pena accessoria e sanzione civile).
La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli
articoli 556 e 560
importa la perdita dell'autorità maritale.
Con la sentenza di condanna per adulterio o per concubinato il giudice può, sull'istanza del coniuge offeso, ordinare i provvedimenti temporanei di indole civile, che ritenga urgenti nell'interesse del coniuge offeso e della prole.
Tali provvedimenti sono immediatamente eseguibili, ma cessano di aver effetto se, entro tre mesi dalla sentenza di condanna, divenuta irrevocabile, non è presentata dinanzi al giudice civile domanda di separazione personale.
Art. 563.
(Estinzione del reato).
Nei casi preveduti dagli
articoli 559 e 560
, la remissione della querela, anche se intervenuta dopo la condanna, estingue il reato.
Estinguono altresì il reato:
la morte del coniuge offeso;
l'annullamento del matrimonio del colpevole di adulterio o di concubinato.
L'estinzione del reato ha effetto anche riguardo al correo e alla concubina e ad ogni persona che sia concorsa nel reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali.
CAPO II.
DEI DELITTI CONTRO LA MORALE FAMIGLIARE.
Art. 564.
(Incesto).
Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è della reclusione da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa.
Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l'incesto è commesso da persona maggiore di età con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne.
La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della patria potestà o della tutela legale.
Art. 565.
(Attentati alla morale famigliare commessi col mezzo della stampa periodica).
Chiunque nella cronaca dei giornali o di altri scritti periodici, nei disegni che ad essa si riferiscono, ovvero nelle inserzioni fatte a scopo di pubblicità sugli stessi giornali o scritti, espone o mette in rilievo circostanze tali da offendere la morale famigliare, è punito con la multa da lire mille a cinquemila.
CAPO III.
DEI DELITTI CONTRO LO STATO DI FAMIGLIA.
Art. 566.
(Supposizione o soppressione di stato).
Chiunque fa figurare nei registri dello stato civile una nascita inesistente è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi, mediante l'occultamento di un neonato, ne sopprime lo stato civile.
Art. 567.
(Alterazione di stato).
Chiunque, mediante la sostituzione di un neonato, ne altera lo stato civile è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Si applica la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità.
Art. 568.
(Occultamento di stato di un fanciullo legittimo o naturale riconosciuto).
Chiunque depone o presenta un fanciullo, già iscritto nei registri dello stato civile come figlio legittimo o naturale riconosciuto, in un ospizio di trovatelli o in un altro luogo di beneficenza, occultandone lo stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Art. 569.
(Pena accessoria).
La condanna pronunciata contro il genitore per alcuno dei delitti preveduti da questo capo importa la perdita della patria potestà o della tutela legale.
CAPO IV.
DEI DELITTI CONTRO L'ASSISTENZA FAMIGLIARE.
Art. 570.
(Violazione degli obblighi di assistenza famigliare).
Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, alla tutela legale, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire mille a diecimila.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un'altra disposizione di legge.
Art. 571.
(Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina).
Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua Autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.
Se dal fatto deriva una lesione personale, sia applicano le pene stabilite negli
articoli 582 e 583
, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.
Art. 572.
(Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli).
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua Autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.
Art. 573.
(Sottrazione consensuale di minorenni).
Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la patria potestà o al tutore, ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo, con la reclusione fino a due anni.
La pena è diminuita, se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata se è commesso per fine di libidine.
Si applicano le disposizioni degli
articoli 525 e 544
.
Art. 574.
(Sottrazione di persone incapaci).
Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la patria potestà, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la patria potestà, del tutore o del curatore, con la reclusione da uno a tre anni.
Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso, per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio.
Si applicano le disposizioni degli
articoli 525 e 544
.
TITOLO XII.
DEI DELITTI CONTRO LA PERSONA.
CAPO I.
DEI DELITTI CONTRO LA VITA E L'INCOLUMITÀ INDIVIDUALE.
Art. 575.
(Omicidio).
Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.
Art. 576.
(Circostanze aggravanti. Pena di morte).
Si applica la pena di morte se il fatto preveduto dall'articolo precedente è commesso:
col concorso di taluna delle circostanze indicate nel numero 2° dell'articolo 61;
contro l'ascendente o il discendente, quando concorre taluna delle circostanze indicate nei
numeri 1° e 4° dell'articolo 61
o quando è adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso ovvero quando vi è premeditazione;
dal latitante, per sottrarsi all'arresto, alla cattura o alla carcerazione ovvero per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza;
dall'associato per delinquere, per sottrarsi all'arresto, alla cattura o alla carcerazione;
nell'atto di commettere taluno dei delitti preveduti dagli
articoli 519, 520 e 521
.
È latitante, agli effetti della legge penale, chi si trova nelle condizioni indicate nel numero 6° dell'articolo 61.
Art. 577.
(Altre circostanze aggravanti. Ergastolo).
Si applica la pena dell'ergastolo se il fatto preveduto dall'articolo 575 è commesso:
contro l'ascendente o il discendente;
col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso;
con premeditazione;
col concorso di taluna delle circostanze indicate nei
numeri 1° e 4° dell'articolo 61
.
La pena è della reclusione di ventiquattro a trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo, o contro un affine in linea retta.
Art. 578.
(Infanticidio per causa di onore).
Chiunque cagiona la morte di un neonato immediatamente dopo il parto, ovvero di un feto durante il parto, per salvare l'onore proprio o di un prossimo congiunto, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Alla stessa pena soggiacciono colore che concorrono nel fatto al solo scopo di favorire taluna delle persone indicate nella disposizione precedente. In ogni altro caso, a coloro che concorrono nel fatto si applica la reclusione non inferiore a dieci anni.
Non si applicano le aggravanti stabilite nell'articolo 61.
Art. 579.
(Omicidio del consenziente).
Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell'articolo 61.
Si applicano le disposizioni relative all'omicidio se il fatto è commesso:
contro una persona minore degli anni diciotto;
contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.
Art. 580.
(Istigazione o aiuto al suicidio).
Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei
numeri 1° e 2° dell'articolo precedente
. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d'intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio.
Art. 581.
(Percosse).
Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire tremila.
Tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato.
Art. 582.
(Lesione personale).
Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.
Se la malattia ha una durata non superiore ai dieci giorni, non concorre alcuna delle circostanze gravanti prevedute dagli
articoli 583 e 585
, il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Art. 583.
(Circostanze aggravanti).
La lesione personale è grave, e si applica la reclusione da tre a sette anni:
se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;
se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo;
se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto deriva l'acceleramento del parto.
La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:
una malattia certamente o probabilmente insanabile;
la perdita di un senso;
la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;
la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;
l'aborto della persona offesa.
Art. 584.
(Omicidio preterintenzionale).
Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli
articoli 581 e 582
, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.
Art. 585.
(Circostanze aggravanti).
Nei casi preveduti dagli
articoli 582, 583 e 584
, la pena è aumentata da un terzo alla metà se concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall'articolo 576; ed è aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall'articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive.
Agli effetti della legge penale per armi s'intendono:
quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona;
tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo.
Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti.
Art. 586.
(Morte o lesione come conseguenza di altro delitto).
Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non valuta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell'articolo 83, ma le pene stabilite negli
articoli 589 e 590
sono aumentate.
Art. 587.
(Omicidio e lesione personale a causa di onore).
Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona, che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.
Se il colpevole cagiona, nelle stesse circostanze, alle dette persone, una lesione personale, le pene stabilite negli
articoli 582 e 583
sono ridotte a un terzo; se dalla lesione personale deriva la morte , la pena è della reclusione da due a cinque anni.
Non è punibile chi, nelle stesse circostanze, commette contro le dette persone il fatto preveduto dall'articolo 581.
Art. 588.
(Rissa).
Chiunque partecipa a una rissa è punito con la multa fino a lire tremila.
Se nella rissa taluno rimane ucciso, o riporta lesione personale, la pena, per il solo fatto della partecipazione ala rissa, è della reclusione da tre mesi a cinque anni. La stessa pena si applica se la uccisione, o lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa.
Art. 589.
(Omicidio colposo).
Chiunque cagiona, per colpa, la morte di un uomo è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una sola persona e di lesione personale di una o più persone, si applica la disposizione della prima parte dell'articolo 81; ma la pena complessiva non può superare gli anni dodici.
Art. 590.
(Lesioni personali colpose).
Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire cinquemila.
Se la lesione è grave, la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da lire duemila a diecimila; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da lire cinquemila a ventimila.
Nel caso di lesione di più persone, si applica la disposizione della prima parte dell'articolo 81; ma la pena della reclusione non può, in complesso, superare gli anni cinque.
Nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, il colpevole è punito a querela della persona offesa.
Art. 591.
(Abbandono di persone minori o incapaci).
Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a sè stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.
La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte.
Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.
Art. 592.
(Abbandono di un neonato per causa di onore).
Chiunque abbandona un neonato, subito dopo la nascita, per salvare l'onore proprio o di un prossimo congiunto è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno. La pena è della reclusione da sei mesi a due anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da due a cinque anni se ne deriva la morte del neonato.
Non si applicano le aggravanti stabilite nell'articolo 61.
Art. 593.
(Omissione di soccorso).
Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un'altra persona incapace di provvedere a sé stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all'Autorità è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire tremila.
Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza occorrente o di darne immediato avviso all'Autorità
Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata.
CAPO II.
DEI DELITTI CONTRO L'ONORE.
Art. 594.
(Ingiuria).
Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire cinquemila.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a lire diecimila, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone
Art. 595.
(Diffamazione).
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire diecimila.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire ventimila.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire cinquemila.
Se l'offesa è recata a un corpo politico, amministrativo giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
Art. 596.
(Esclusione della prova liberatoria).
Il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa.
Tuttavia, quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l'offensore possono, d'accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d'onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo.
Art. 597.
(Querela della persona offesa ed estinzione del reato).
I delitti preveduti dagli
articoli 594 e 595
sono punibili a querela della persona offesa.
Se la persona offesa e l'offensore hanno esercitato la facoltà indicata nel capoverso dell'articolo precedente, la querela si considera tacitamente rinunciata o rimessa. Se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine per proporre la querela, o se si tratta di offesa alla memoria di un defunto, possono proporre querela i prossimi congiunti, l'adottante e l'adottato. In tali casi, e altresì in quello in cui la persona offesa muoia dopo avere proposta la querela, la facoltà indicata nel capoverso dell'articolo precedente spetta ai prossimi congiunti, all'adottante e all'adottato.
Art. 598.
(Offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie o amministrative).
Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'autorità amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo.
Il giudice, pronunciato nella causa, può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, e assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Qualora si tratti di scritture per le quali la soppressione o cancellazione non possa eseguirsi, è fatta sulle medesime annotazione della sentenza.
Art. 599.
(Ritorsione e provocazione).
Nei casi preveduti dall'articolo 594, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori.
Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli
articoli 594 e 595
nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche all'offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute.
CAPO III.
DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ INDIVIDUALE.
SEZIONE I.
DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ INDIVIDUALE.
Art. 600.
(Riduzione in schiavitù).
Chiunque riduce una persona in schiavitù, o in una condizione analoga ala schiavitù, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Art. 601.
(Tratta e commercio di schiavi).
Chiunque commette tratta di persona che si trova nelle condizioni di cui all'articolo 600 ovvero, al fine di commettere i delitti di cui al primo comma del medesimo articolo, la induce mediante inganno o la costringe mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante promessa o dazione di somme di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno, è punito con la reclusione da otto a venti anni.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i delitti di cui al presente articolo sono commessi in danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi.
Art. 602.
(Alienazione e acquisto di schiavi).
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, aliena o cede una persona che si trova in stato di schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù, o se ne impossessa o ne fa acquisto o la mantiene nello stato di schiavitù, o nella condizione predetta, è punito con la reclusione da tre a dodici anni.
Art. 603.
(Plagio).
Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Art. 604.
(Fatto commesso all'estero in danno di cittadino italiano).
Le disposizioni di questa sezione, nonchè quelle previste dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609- quater e 609-quinquies, si applicano altresi quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano, ovvero in danno di cittadino italiano, ovvero da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano. In quest'ultima ipotesi il cittadino straniero è punibile quando si tratta di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e quando vi è stata richiesta del Ministro di grazia e giustizia
SEZIONE II.
DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ PERSONA
Art. 605.
(Sequestro di persona).
Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni.
La pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso:
in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge;
da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni.
Art. 606.
(Arresto illegale).
Il pubblico ufficiale che procede ad un arresto, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, è punito con la reclusione fino a tre anni.
Art. 607.
(Indebita limitazione di libertà personale).
Il pubblico ufficiale, che, essendo preposto o addetto a un carcere giudiziario o ad uno stabilimento destinato all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, vi riceve taluno senza un ordine dell'autorità competente, o non obbedisce all'ordine di liberazione dato da questa autorità, ovvero indebitamente protrae l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, è punito con la reclusione fino a tre anni.
Art. 608.
(Abuso di autorità contro arrestati o detenuti).
Il pubblico ufficiale, che sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia, anche temporanea, o che sia a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell'autorità competente, è punito con la reclusione fino a trenta mesi.
La stessa pena si applica se il fatto è commesso da un altro pubblico ufficiale, rivestito, per ragione del suo ufficio, di una qualsiasi autorità sulla persona custodita.
Art. 609.
(Perquisizione e ispezione personali arbitrarie).
Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una perquisizione o un'ispezione personale, è punito con la reclusione fino ad un anno.
SEZIONE III.
DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ MORALE.
Art. 610.
(Violenza privata).
Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.
Art. 611.
(Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato).
Chiunque usa violenza o minaccia per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato è punito con la reclusione fino a cinque anni.
La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.
Art. 612.
(Minaccia).
Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire cinquecento.
Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d'ufficio.
Art. 613.
(Stato di incapacità procurato mediante violenza).
Chiunque, mediante suggestione ipnotica o in veglia, o mediante somministrazione di sostanze alcooliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza il consenso di lei, in stato d'incapacità d'intendere o di volere, è punito con la reclusione fino a un anno.
Il consenso dato dalle persone indicate nell'ultimo capoverso dell'articolo 579 non esclude la punibilità.
La pena è della reclusione fino a cinque anni:
se il colpevole ha agito col fine di far commettere un reato;
se la persona resa incapace commette, in tale stato, un fatto preveduto dalla legge come delitto.
SEZIONE IV.
DEI DELITTI CONTRO LA INVIOLABILITÀ DEL DOMICILIO .
Art. 614.
(Violazione di domicilio).
Chiunque s'introduce nelle abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s'introduce clandestinamente o con inganno, è punito con la reclusione fino a tre anni.
Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
La pena è da uno a cinque anni, e si procede d'ufficio se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.
Art. 615.
(Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale).
Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, s'introduce o si trattiene nei luoghi indicati nell'articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se l'abuso consiste nell'introdursi nei detti luoghi senza l'osservanza delle formalità prescritte dalla legge, la pena è della reclusione fino a un anno.
SEZIONE V.
DEI DELITTI CONTRO LA INVIOLABILITÀ DEI SEGRETI.
Art. 616.
(Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza).
Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire trecento a cinquemila.
Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per corrispondenza s'intende quella epistolare, telegrafica o telefonica.
Art. 617.
(Cognizione, interruzione e impedimento fraudolenti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche).
Chiunque, con mezzi fraudolenti, prende cognizione di una comunicazione telegrafica a lui non diretta, o di una conversazione telefonica tra altre persone, ovvero le interrompe od impedisce, è punito con la multa da lire cento a tremila.
Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della comunicazione o della conversazione, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a tre anni.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Art. 618.
(Rivelazione del contenuto di corrispondenza).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 616, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta, che doveva rimanere segreta, senza giusta causa lo rivela, in tutto o in parte, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire mille a cinquemila.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Art. 619.
(Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni).
L'addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, il quale, abusando di tale qualità, commette alcuno dei fatti preveduti dalla prima parte dell'articolo 616, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se il colpevole, senza giusta causa rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da lire trecento a cinquemila.
Art. 620.
(Rivelazione del contenuto di corrispondenza, commessa da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni).
L'addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, che, avendo notizia, in questa sua qualità, del contenuto di una corrispondenza aperta, o di una comunicazione telegrafica, o di una conversazione telefonica, lo rivela senza giusta causa ad altri che non sia il destinatario, ovvero a una persona diversa da quelle tra le quali la comunicazione o la conversazione è interceduta, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Art. 621.
(Rivelazione del contenuto di documenti segreti).
Chiunque, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto, che debba rimanere segreto, di altrui atti o documenti, pubblici o privati, non costituenti corrispondenza, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire mille a diecimila.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Art. 622.
(Rivelazione di segreto professionale).
Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire trecento a cinquemila.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Art. 623.
(Rivelazione di segreti scientifici o industriali).
Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche o applicazioni industriali, le rivela o le impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
TITOLO XIII.
DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO.
CAPO I.
DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE VIOLENZA ALL E COSE O ALLE PERSONE.
Art. 624.
(Furto).
Chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da lire trecento a cinquemila.
Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l'energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico.
Art. 625.
(Circostanze aggravanti).
La pena è della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire mille a diecimila:
se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione;
se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;
se il colpevole porta in dosso armi o narcotici, senza farne uso;
se il fatto e commesso con destrezza, ovvero, strappando la cosa di mano o di dosso alla persona;
se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d'incaricato di un pubblico servizio;
se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande;
se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità difesa o reverenza;
se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.
Se concorrono due o più delle circostanze prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo 61, la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da lire duemila a quindicimila.
Art 626.
(Furti punibili a querela dell'offeso).
Si applica la reclusione fino a un anno ovvero la multa fino a lire duemila, e il delitto è punibile a querela della persona offesa:
se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita;
se il fatto è commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave ed urgente bisogno;
se il fatto consiste nello spigolare, rastrellare o raspollare nei fondi altrui, non ancora spogliati interamente del raccolto.
Tali disposizioni non si applicano se concorre taluna delle circostanze indicate nei
numeri 1°, 2°, 3° e 4° dell'articolo precedente
.
Art. 627.
(Sottrazione di cose comuni).
Il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sé o ad altri un profitto, s'impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire mille a diecimila.
Non è punibile chi commette il fatto su cose fungibili, se il valore di esse non eccede la quota a lui spettante.
Art. 628.
(Rapina).
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da lire cinquemila a ventimila.
Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità.
La pena è aumentata da un terzo alla metà:
se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite;
se la violenza consiste nel porre taluno in stato d'incapacità di volere o di agire.
Art. 629.
(Estorsione).
Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da lire cinquemila a ventimila.
La pena è aumentata da un terzo alla metà, se concorre taluna delle circostanze indicate nell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.
Art. 630.
(Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione).
Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da otto a quindici anni e con la multa da lire diecimila a ventimila.
La pena della reclusione è da dodici a diciotto anni, se il colpevole consegue l'intento.
Art. 631.
(Usurpazione).
Chiunque, per appropriarsi, in tutto o in parte, l'altrui cosa immobile, ne rimuove o altera i termini è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire diecimila.
Art. 632.
(Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi).
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, devia acque pubbliche o private, ovvero immuta nell'altrui proprietà lo stato dei luoghi, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire diecimila.
Art. 633.
(Invasione di terreni o edifici).
Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire mille a diecimila.
Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi.
Art. 634.
(Turbativa violenta del possesso di cose immobili).
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, turba, con violenza alla persona o con minaccia, l'altrui pacifico possesso di cose immobili, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire mille a tremila.
Il fatto si considera compiuto con violenza o minaccia quando è commesso da più di dieci persone.
Art. 635.
(Danneggiamento).
Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire tremila.
La pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso:
con violenza alla persona o con minaccia;
da datori di lavoro in occasione di serrate, o da lavoratori in occasione di sciopero, ovvero in occasione di alcuno dei delitti preveduti dagli
articoli 330, 331 e 333
;
su edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all'esercizio di un culto, o su altre delle cose indicate nel numero 7° dell'articolo 625;
sopra opere destinate all'irrigazione;
sopra piantate di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o su boschi, selve o foreste, ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento.
Art. 636.
(Introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo).
Chiunque introduce o abbandona animali in gregge o in mandria nel fondo altrui è punito con la multa da lire cento a mille.
Se l'introduzione o l'abbandono di animali, anche non raccolti in gregge o in mandria, avviene per farli pascolare nel fondo altrui, la pena è della reclusione a un anno o della multa da lire duecento a duemila.
Qualora il pascolo avvenga, ovvero dalla introduzione o dall'abbandono degli animali il fondo sia stato danneggiato, il colpevole è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire cinquecento a cinquemila.
Art. 637.
(Ingresso abusivo nel fondo altrui).
Chiunque senza necessità entra nel fondo altrui recinto da fosso, da siepe viva o da un altro stabile riparo è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire mille.
Art. 638.
(Uccisione o danneggiamento di animali altrui).
Chiunque senza necessità uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire tremila.
La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.
Non è punibile chi commette il fatto sopra volatili sorpresi nei fondi da lui posseduti e nel momento in cui gli recano danno.
Art. 639.
(Deturpamento e imbrattamento di cose altrui).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire mille.
CAPO II.
DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE FRODE.
Art. 640.
(Truffa).
Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire cinquecento a diecimila.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire tremila a quindicimila:
se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità.
Art. 641.
(Insolvenza fraudolenta).
Chiunque, dissimulando il proprio stato d'insolvenza, contrae un'obbligazione col proposito di non adempierla è punito, a querela della persona offesa, qualora la obbligazione non sia adempiuta, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire cinquemila.
L'adempimento dell'obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato.
Art. 642.
(Fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona).
Chiunque, al fine di conseguire per sè o per altri il prezzo di un'assicurazione contro infortuni, distrugge, disperde, deteriora od occulta cose di sua proprietà è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa fino a lire diecimila.
Alla stessa pena soggiace chi, al fine predetto, cagiona a sé stesso una lesione personale, o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta dall'infortunio.
Se il colpevole consegue l'intento, la pena è aumentata.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche se il fatto è commesso all'estero, in danno di un assicuratore italiano, che eserciti la sua industria nel territorio dello Stato; ma il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Art. 643.
(Circonvenzione di persone incapaci).
Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire duemila a ventimila.
Art. 644.
(Usura).
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, approfittando dello stato di bisogno di una persona, si fa da questa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, un corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire mille a ventimila.
Alla stessa pena soggiace chi, fuori dei casi di concorso nel delitto preveduto dalla disposizione precedente, procura ad una persona in stato di bisogno una somma di denaro o un'altra cosa mobile, facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usuraio.
Art. 645.
(Frode in emigrazione).
Chiunque, con mendaci asserzioni o con false notizie, eccitando taluno ad emigrare, o avviandolo a paese diverso da quello nel quale voleva recarsi, si fa consegnare o promettere, per sè o per altri, denaro o altra utilità, come compenso per farlo emigrare, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire tremila a diecimila.
La pena è aumentata se il fatto è commesso a danno di due o più persone.
Art. 646.
(Appropriazione indebita).
Chiunque, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire diecimila.
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.
Si procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11° dell'articolo 61.
Art. 647.
(Appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o per caso fortuito).
È punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire trecento a tremila:
chiunque, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se li appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull'acquisto della proprietà di cose trovate;
chiunque, avendo trovato un tesoro, si appropria, in tutto o in parte, la quota dovuta al proprietario del fondo;
chiunque si appropria cose, delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito.
Nei casi preveduti dai
numeri 1° e 3°
, se il colpevole conosceva il proprietario della cosa che si è appropriata, la pena è della reclusione fino a due anni e della multa fino a lire tremila.
Art. 648.
(Ricettazione).
Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque s'intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione fino a sei anni e con la multa fino a lire ventimila.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l'autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile.
CAPO III.
DISPOSIZIONI COMUNI AI CAPI PRECEDENTI.
Art. 649.
(Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti).
Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in danno:
del coniuge non legalmente separato;
di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell'adottante o dell'adottato;
di un fratello o di una sorella che con lui convivono.
I fatti preveduti da questo titolo sono punibili a querela della persona offesa, se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivono coll'autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell'affine in secondo grado con lui conviventi.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli
articoli 628, 629 e 630
e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.
LIBRO III.
DELLE CONTRAVVENZIONI IN PARTICOLARE.
TITOLO I.
DELLE CONTRAVVENZIONI DI POLIZIA.
CAPO I.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA POLIZIA DI SICUREZZA.
SEZIONE I.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L'ORDINE PUBBLICO E LA TRANQUILLITÀ PUBBLICA.
§1.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L'INOSSERVANZA DEI PROVVEDIMENTI DI POLIZIA E LE MANIFESTAZIONI SEDIZIOSE E PERICOLOSE.
Art. 650.
(Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità).
Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi e con l'ammenda fino a lire duemila.
Art. 651.
(Rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale).
Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a lire duemila.
Art. 652.
(Rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto).
Chiunque, in occasione di un tumulto o di un pubblico infortunio o di un comune pericolo, ovvero nella flagranza di un reato, rifiuta, senza giusto motivo, di prestare il proprio aiuto o la propria opera, ovvero di dare le informazioni o le indicazioni che gli siano richieste da un pubblico ufficiale o da una persona incaricata di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con l'arresto fino a tre mesi e con l'ammenda fino a lire tremila.
Se il colpevole dà informazioni o indicazioni mendaci, è punito con l'arresto da uno a sei mesi ovvero con l'ammenda da lire trecento a seimila.
Art. 653.
(Formazione di corpi armati non diretti a commettere reati).
Chiunque, senza autorizzazione, forma un corpo armato non diretto a commettere reati è punito con l'arresto fino a un anno.
Art. 654.
(Grida e manifestazioni sediziose).
Chiunque, in una riunione che non sia da considerare privata a norma del numero 3° dell'articolo 266 ovvero in un luogo pubblico, aperto o esposto al pubblico, compie manifestazioni o emette grida sediziose è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a un anno.
Art. 655.
(Radunata sediziosa).
Chiunque fa parte di una radunata sediziosa di dieci o più persone è punito, per il solo fatto della partecipazione, con l'arresto fino a un anno.
Se chi fa parte della radunata è armato, la pena è dell'arresto non inferiore a sei mesi.
Non è punibile chi, prima dell'ingiunzione dell'autorità, o per obbedire ad essa, si ritira dalla radunata.
Art. 656.
(Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico).
Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire tremila.
Art. 657
(Grida o notizie atte a turbare la tranquillità pubblica o privata).
Chiunque, con lo scopo di smerciare o distribuire scritti o disegni in luogo pubblico ovvero aperto o esposto al pubblico, annuncia o grida notizie, dalle quali possa essere turbata la tranquillità pubblica o privata, è punito con l'ammenda fino a lire mille.
Art. 658.
(Procurato allarme presso l'autorità).
Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l'autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da lire cento a cinquemila.
Art. 659.
(Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone).
Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire tremila.
Si applica l'ammenda da lire mille a cinquemila a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'Autorità.
Art. 660.
(Molestia o disturbo alle persone).
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a lire cinquemila.
Art. 661.
(Abuso della credulità popolare).
Chiunque, pubblicamente, cerca con qualsiasi impostura, anche gratuitamente, di abusare dela credulità popolare è punito, se dal fatto può derivare un turbamento dell'ordine pubblico, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire diecimila.
§2.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA VIGILANZA SUI MEZZI DI PUBBLICITÀ.
Art. 662.
(Esercizio abusivo dell'arte tipografica).
Chiunque, senza la licenza dell'Autorità, o senza osservare le prescrizioni della legge, esercita l'arte tipografica, litografica, fotografica, o un'altra qualunque arte di stampa o di riproduzione meccanica o chimica in molteplici esemplari, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da lire trecento a cinquemila.
Art. 663.
(Vendita, distribuzione o affissione abusiva di scritti o disegni).
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, vende o distribuisce o mette comunque in circolazione scritti o disegni, senza avere ottenuto l'autorizzazione richiesta dalla legge, è punito con l'ammenda fino a lire cinquecento.
Alla stessa pena soggiace chiunque, senza licenza dell'Autorità o senza osservarne le prescrizioni, in un luogo pubblico, aperto, o esposto al pubblico, affigge scritti o disegni, o fa uso di mezzi luminosi o acustici per comunicazioni al pubblico, o comunque colloca iscrizioni o disegni.
Art. 664.
(Distruzione o deterioramento di affissioni).
Chiunque stacca, lacera o rende comunque inservibili o illeggibili scritti o disegni, fatti affiggere dalle autorità civili o da quelle ecclesiastiche, è punito con l'ammenda fino a lire tremila.
Se si tratta di scritti o disegni fatti affiggere da privati, nei luoghi e nei modi consentiti dalla legge o dall'Autorità, la pena è dell'ammenda fino a lire mille.
§3.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA VIGILANZA SU TALUNE INDUSTRIE E SUGLI SPETTACOLI PUBBLICI.
Art. 665.
(Agenzie di affari ed esercizi pubblici non autorizzati o vietati).
Chiunque, senza la licenza dell'Autorità, o senza la preventiva dichiarazione alla medesima, quando siano richieste, apre o conduce agenzie di affari, stabilimenti o esercizi pubblici, ovvero per mercede alloggia persone, o le riceve in convitto o in cura, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a lire cinquemila.
Se la licenza è stata negata, revocata o sospesa, le pene dell'arresto e dell'ammenda si applicano congiuntamente.
Qualora, ottenuta la licenza, non si osservino le altre prescrizioni della legge o dell'Autorità, la pena è dell'arresto fino a tre mesi o dell'ammenda fino a lire tremila.
Art. 666.
(Spettacoli o trattenimenti pubblici senza licenza).
Chiunque, senza la licenza dell'Autorità, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, dà spettacoli o trattenimenti di qualsiasi natura, o apre circoli o sale da ballo o di audizione, è punito con l'ammenda da lire cento a cinquemila.
Se la licenza è stata negata, revocata o sospesa, la pena è dell'arresto fino a un mese.
Art. 667.
(Esecuzione abusiva di azioni destinate a essere riprodotte con cinematografo).
Chiunque fa eseguire in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico azioni destinate a essere riprodotte col cinematografo, senza averne dato preventivo avviso all'Autorità, è punito con l'ammenda da lire mille a cinquemila.
Alla stessa pena soggiace chi fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, ovvero esporta o fa comunque commercio di pellicole cinematografiche, senza averne dato il preventivo avviso all'Autorità.
Se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti è commesso contro il divieto dell'Autorità, la pena è dell'arresto fino a un mese.
Art. 668.
(Rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive).
Chiunque recita in pubblico drammi o altre opere, ovvero dà in pubblico produzioni teatrali di qualunque genere, senza averli prima comunicati all'Autorità, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a lire tremila.
Alla stessa pena soggiace chi fa rappresentare in pubblico pellicole cinematografiche, non sottoposte prima alla revisione dell'Autorità.
Se il fatto è commesso contro il divieto dell'Autorità la pena pecuniaria e la pena detentiva sono applicate congiuntamente.
Il fatto si considera commesso in pubblico se ricorre taluna delle circostanze indicate nei
numeri 2° e 3° dell'articolo 266
.
§4.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA VIGILANZA SUI MESTIERI GIROVAGHI E LA PREVENZIONE DELL'ACCATTONAGGIO.
Art. 669.
(Esercizio abusivo di mestieri girovaghi).
Chiunque esercita un mestiere girovago senza la licenza dell'Autorità o senza osservare le altre prescrizioni stabilite dalla legge, è punito con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda da lire cinquanta a mille.
Alla stessa pena soggiace il genitore o il tutore che impiega in mestieri girovaghi un minore degli anni diciotto, senza che questi abbia ottenuto la licenza o abbia osservate le altre prescrizioni di legge.
La pena è dell'arresto da uno a quattro mesi o dell'ammenda da lire cento a duemila e può essere ordinata la libertà vigilata:
se il fatto è commesso contro il divieto della legge o dell'Autorità;
se la persona che esercita abusivamente il mestiere girovago ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non colposo.
Art. 670.
(Mendicità).
Chiunque mendica in un luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con l'arresto fino a tre mesi.
La pena è dell'arresto da uno a sei mesi se il fatto è commesso in modo ripugnante o vessatorio, ovvero simulando deformità o malattie, o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l'altrui pietà.
Art. 671.
(Impiego di minori nell'accattonaggio).
Chiunque si vale, per mendicare, di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, la quale sia sottoposta alla sua Autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, ovvero permette che tale persona mendichi, o che altri se ne valga per mendicare, è punito con l'arresto da tre mesi a un anno.
Qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, la condanna importa la sospensione dall'esercizio della patria potestà o dall'ufficio di tutore.
SEZIONE II.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L'INCOLUMITÀ PU BBLICA.
§1.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L'INCOLUMITÀ DELLE PERSONE NEI LUOGHI DI PUBBLICO TRANSITO O NELLE ABITAZIONI.
Art. 672.
(Omessa custodia e mal governo di animali).
Chiunque lasci liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti, o ne affida la custodia a persona inesperta, è punito con l'arresto fino a tre mesi, ovvero con l'ammenda fino a lire tremila.
Alla stessa pena soggiace:
chi, in luoghi aperti, abbandona a sé stessi animali da tiro, da soma o da corsa, o li lascia comunque senza custodia, anche se non siano disciolti, o li attacca o conduce in modo da esporre a pericolo l'incolumità pubblica, ovvero li affida a persona inesperta;
chi aizza o spaventa animali, in modo da mettere in pericolo l'incolumità delle persone.
Art. 673.
(Omesso collocamento o rimozione di segnali o ripari).
Chiunque omette di collocare i segnali o i ripari prescritti dalla legge o dall'Autorità per impedire pericoli alle persone in un luogo di pubblico transito, ovvero rimuove i segnali o i ripari suddetti, o spegne i fanali collocati come segnali, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire cinquemila.
Alla stessa pena soggiace chi rimuove apparecchi o segnali diversi da quelli indicati nella disposizione precedente e destinati a un servizio pubblico o di pubblica necessità, ovvero spegne i fanali della pubblica illuminazione.
Art. 674.
(Getto pericoloso di cose).
Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a lire duemila.
Art. 675.
(Collocamento pericoloso di cose).
Chiunque senza le debite cautele, pone o sospende cose, che, cadendo in un luogo di pubblico transito, o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, possano offendere o imbrattare o molestare persone, è punito con l'ammenda fino a lire mille.
Art. 676.
(Rovina di edifici o di altre costruzioni).
Chiunque ha avuto parte nel progetto o nei lavori concernenti un edificio o un'altra costruzione, che poi, per sua colpa, rovini, è punito con l'ammenda non inferiore a lire mille.
Se dal fatto è derivato pericolo alle persone, la pena è dell'arresto fino a sei mesi ovvero dell'ammenda non inferiore a lire tremila.
Art. 677.
(Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina).
Il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, è punito con l'ammenda non inferiore a lire mille.
Alla stessa pena soggiace chi, avendone l'obbligo, omette di rimuovere il pericolo cagionato dall'avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione.
Se dai fatti preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell'arresto fino a sei mesi o dell'ammenda non inferiore a lire tremila.
§2.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DI INFORTUNI NELLE INDUSTRIE O NELLA CUSTODIA DI MATERIE ESPLODENTI.
Art. 678.
(Fabbricazione o commercio abusivi di materie esplodenti).
Chiunque, senza la licenza dell'Autorità o senza le prescritte cautele, fabbrica o introduce nello Stato, ovvero tiene in deposito o vende o trasporta materie esplodenti o sostanze destinate alla composizione o alla fabbricazione di esse, è punito con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda fino a lire duemila.
Art. 679.
(Omessa denuncia di materie esplodenti).
Chiunque omette di denunciare all'Autorità che egli detiene materie esplodenti di qualsiasi specie, ovvero materie infiammabili, pericolose per la loro qualità o quantità, è punito con l'arresto fino a quattro mesi o con l'ammenda fino a lire tremila.
Soggiace all'ammenda fino a lire duemila chiunque, avendo notizia che in un luogo da lui abitato si trovano materie esplodenti, omette di farne denuncia all'Autorità.
Nel caso di trasgressione all'ordine, legalmente dato dall'Autorità, di consegnare, nei termini prescritti, le materie esplodenti, la pena è dell'arresto da un mese ad un anno o dell'ammenda da lire trecento a cinquemila.
Art. 680.
(Circostanze aggravanti).
Le pene per le contravvenzioni prevedute dai due articoli precedenti sono aumentate se il fatto è commesso da alcuna delle persone alle quali la legge vieta di concedere la licenza, ovvero se questa è stata negata o revocata.
Art. 681.
(Apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo o trattenimento).
Chiunque apre o tiene aperti luoghi di pubblico spettacolo, trattenimento o ritrovo, senza avere osservato le prescrizioni dell'Autorità a tutela della incolumità pubblica, è punito con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda non inferiore a lire mille.
SEZIONE III.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DI TALUNE SPECIE DI REATI.
§1.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA TUTELA PREVENTIVA DEI SEGRETI.
Art. 682.
(Ingresso arbitrario in luoghi, ove l'accesso è vietato nell'interesse militare dello Stato).
Chiunque s'introduce in luoghi, nei quali l'accesso è vietato nell'interesse militare dello Stato, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto da tre mesi a un anno, ovvero con l'ammenda da lire cinquecento a tremila.
Art. 683.
(Pubblicazione delle discussioni o delle deliberazioni segrete del Gran Consiglio del fascismo o di una delle Camere).
Chiunque, senza autorizzazione, pubblica col mezzo della stampa, o con un altro dei mezzi indicati nell'articolo 662, anche per riassunto, il contenuto delle discussioni o delle deliberazioni segrete del Gran Consiglio del fascismo, del Senato o della Camera dei deputati, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con l'ammenda da lire mille a cinquemila.
Art. 684.
(Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale).
Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l'ammenda non inferiore a lire cinquecento.
Art. 685.
(Indebita pubblicazione di notizie concernenti un procedimento penale).
Chiunque pubblica i nomi dei giudici, con l'indicazione dei voti individuali che ad essi si attribuiscono nelle deliberazioni prese in un procedimento penale, è punito con l'ammenda non inferiore a lire trecento.
§2.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DELL'ALCOOLISMO E DEI DELITTI COMMESSI IN STATO DI UBRIACHEZZA.
Art. 686.
(Fabbricazione o commercio abusivi di liquori o droghe, o di sostanze destinate alla loro composizione).
Chiunque, contro il divieto della legge, ovvero senza osservare le prescrizioni della legge o dell'Autorità, fabbrica, o introduce nello Stato, o detiene per vendere, o vende droghe, liquori o altre bevande alcooliche, è punito con l'arresto fino a un anno o con l'ammenda da lire cinquecento a cinquemila.
Alla stessa pena soggiace chi, senza osservare le prescrizioni della legge o dell'Autorità, fabbrica o introduce nello Stato sostanze destinate alla composizione di liquori o droghe.
Art. 687.
(Consumo di bevande alcooliche in tempo di vendita non consentita).
Chiunque acquista o consuma, in un esercizio pubblico, bevande alcooliche fuori del tempo in cui ne è permessa la vendita, è punito con l'ammenda fino a lire cinquecento.
Art. 688.
(Ubriachezza).
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è colto in stato di manifesta ubriachezza è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da lire cento a duemila.
La pena è dell'arresto da tre a sei mesi se il fatto è commesso da chi ha già riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita o la incolumità individuale.
La pena è aumentata se la ubriachezza è abituale.
Art. 689.
(Somministrazione di bevande alcooliche a minori o a infermi di mente).
L'esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di bevande, il quale somministra, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un minore degli anni sedici, o a persona che appaia affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste condizioni di deficienza psichica a causa di un'altra infermità, è punito con l'arresto fino a un anno. Se dal fatto deriva l'ubriachezza, la pena è aumentata.
La condanna importa la sospensione dall'esercizio.
Art. 690.
(Determinazione in altri dello stato di ubriachezza).
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico , cagiona la ubriachezza altrui, somministrando bevande alcooliche, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da lire trecento a tremila.
Art. 691.
(Somministrazione di bevande alcooliche a persona in stato di manifesta ubriachezza).
Chiunque somministra bevande alcooliche a una persona in stato di manifesta ubriachezza, è punito con l'arresto da tre mesi a un anno.
Qualora il colpevole sia esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o bevande, la condanna importa la sospensione dall'esercizio.
§3.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DI DELITTI CONTRO LA FEDE PUBBLICA.
Art. 692.
(Detenzione di misure e pesi illegali).
Chiunque, nell'esercizio di un'attività commerciale, o in uno spaccio aperto al pubblico, detiene misure o pesi diversi da quelli stabiliti dalla legge, ovvero usa misure o pesi senza osservare le prescrizioni di legge, è punito con l'ammenda da lire cento a duemila.
Se il colpevole ha già riportato una condanna per delitti contro il patrimonio, o contro la fede pubblica, o contro l'economia pubblica, l'industria o il commercio, o per altri delitti della stessa indole, può essere sottoposto ala libertà vigilata.
Art. 693.
(Rifiuto di monete aventi corso legale).
Chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con l'ammenda fino a lire trecento.
Art. 694.
(Omessa consegna di monete riconosciute contraffatte).
Chiunque, avendo ricevuto come genuine, per un valore complessivo non inferiore a lire venti, monete, contraffatte o alterate, non le consegna all'Autorità entro tre giorni da quello in cui ne ha conosciuto la falsità o l'alterazione, indicandone la provenienza se la conosce, è punito con l'ammenda fino a lire duemila.
§4.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DI DELITTI CONTRO LA VITA E L'INCOLUMITÀ INDIVIDUALE.
Art. 695.
(Fabbricazione o commercio non autorizzati di armi).
Chiunque, senza la licenza dell'Autorità, fabbrica o introduce nello Stato, o esporta, o pone comunque in vendita armi, ovvero ne fa raccolta per ragioni di commercio o d'industria, è punito con l'arresto fino a un anno e con l'ammenda fino a lire diecimila.
Non si applica la pena dell'arresto, qualora si tratti di collezioni di armi artistiche, rare o antiche.
Art. 696.
(Vendita ambulante di armi).
Chiunque esercita la vendita ambulante di armi è punito con l'arresto fino a un anno e con l'ammenda fino a lire diecimila.
Art. 697.
(Detenzione abusiva di armi).
Chiunque detiene armi o munizioni senza averne fatto denuncia all'Autorità, quando la denuncia è richiesta, è punito con l'arresto fino a quattro mesi o con l'ammenda fino a lire tremila.
Si applica l'ammenda fino a lire duemila a chiunque, avendo notizia che in un luogo da lui abitato si trovano armi o munizioni, omette di farne denuncia all'Autorità.
Art 698.
(Omessa consegna di armi).
Chiunque trasgredisce all'ordine, legalmente dato dall'Autorità, di consegnare nei termini prescritti le armi o le munizioni da lui detenute, è punito con l'arresto non inferiore a tre mesi o con l'ammenda non inferiore a lire mille.
Art. 699.
(Porto abusivo di armi).
Chiunque, senza la licenza dell'Autorità, quando la licenza è richiesta, porta un'arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, è punito con l'arresto fino a sei mesi.
Soggiace all'arresto da sei mesi a un anno chi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa porta un'arma per cui non è ammessa la licenza.
Se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti è commesso in un luogo ove sia concorso o adunanza di persone, o di notte in un luogo abitato, le pene sono aumentate.
Art. 700.
(Circostanze aggravanti).
Nei casi preveduti dagli articoli precedenti, la pena è aumentata qualora concorra taluna delle circostanze indicate nell'articolo 680.
Art. 701.
(Misura di sicurezza).
Il condannato per alcuna delle contravvenzioni prevedute dagli articoli precedenti può essere sottoposto alla libertà vigilata.
Art. 702.
(Omessa custodia di armi).
È punito con l'ammenda fino a lire mille chiunque, anche se provveduto della licenza di porto d'armi:
consegna o lascia portare un'arma a persona di età minore dei quattordici anni, o a qualsiasi persona incapace o inesperta nel maneggio di essa;
trascura di adoperare, nella custodia di armi, le cautele necessarie a impedire che alcuna delle persone indicate nel numero precedente giunga a impossessarsene agevolmente;
porta un fucile carico in un luogo ove sia adunanza o concorso di persone.
Art. 703.
(Accensioni ed esplosioni pericolose).
Chiunque, senza la licenza dell'Autorità in un luogo abitato o nelle sue adiacenze, o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara armi da fuoco, accende fuochi d'artificio, o lancia razzi, o innalza aerostati con fiamme, o, in genere, fa accensioni o esplosioni pericolose, è punito con l'ammenda fino a lire mille.
Se il fatto è commesso in un luogo ove sia adunanza o concorso di persone, la pena è dell'arresto fino a un mese.
Art. 704.
(Armi).
Agli effetti delle disposizioni precedenti, per armi si intendono:
le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti, e i gas asfissianti o accecanti.
§5.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DI
DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO.
Art. 705.
(Commercio non autorizzato di cose preziose).
Chiunque, senza la licenza dell'Autorità o senza osservare le prescrizioni della legge, fabbrica o pone in commercio cose preziose, o compie su esse operazioni di mediazione o esercita altre simili industrie, arti o attività, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da lire cinquecento a diecimila.
Art. 706.
(Commercio clandestino di cose antiche).
Chiunque esercita il commercio di cose antiche o usate, senza averne prima fatta dichiarazione all'Autorità, quando la legge la richiede, o senza osservare le prescrizioni della legge, è punito con l'ammenda da lire cento a tremila.
Art. 707.
(Possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli).
Chiunque, essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, o per mendicità, o essendo ammonito o sottoposto a una misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta, è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a s forzare serrature, dei quali non giustifichi l'attuale destinazione, è punito con l'arresto da sei mesi a due anni.
Art. 708.
(Possesso ingiustificato di valori).
Chiunque, trovandosi nelle condizioni personali indicate nell'articolo precedente, è colto in possesso di denaro o di oggetti di valore, o di altre cose non confacenti al suo stato, e dei quali non giustifichi la provenienza, è punito con l'arresto da tre mesi a un anno.
Art. 709.
(Omessa denuncia di cose provenienti da delitto).
Chiunque, avendo ricevuto denaro o acquistato o comunque avuto cose provenienti da delitto, senza conoscerne la provenienza, omette, dopo averla conosciuta, di darne immediato avviso all'Autorità è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a lire cinquemila.
Art. 710.
(Vendita o consegna di chiavi o grimaldelli a persona sconosciuta).
Chiunque fabbrica chiavi di qualsiasi specie, su richiesta di persona diversa dal proprietario o possessore del luogo o dell'oggetto a cui le chiavi sono destinate, o da un incaricato di essi, ovvero, esercitando il mestiere di fabbro o chiavaiuolo o un altro simile mestiere, consegna o vende a chicchessia grimaldelli o altri strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, è punito con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da lire cento a mille.
Art. 711.
A(pertura arbitraria di luoghi o di oggetti).
Chiunque, esercitando il mestiere di fabbro o di chiavaiuolo, ovvero un altro simile mestiere, apre serrature o altri congegni analoghi apposti a difesa di un luogo o di un oggetto, su domanda di chi non sia da lui conosciuto come proprietario o possessore del luogo o dell'oggetto, o come un loro incaricato, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da lire cento a duemila.
Art. 712.
(Acquisto di cose di sospetta provenienza).
Chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengono da reato, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a lire cento.
Alla stessa pena soggiace chi si adopera per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza.
Art. 713.
(Misura di sicurezza).
Il condannato per alcuna delle contravvenzioni prevedute dagli articoli precedenti può essere sottoposto alla libertà vigilata.
§6.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA CUSTODIA DI ALIENATI DI MENTE, DI MINORI O DI PERSONE DETENUTE.
Art. 714.
(Omessa o non autorizzata custodia, in manicomi o in riformatori, di alienati di mente o di minori).
Chiunque, senza ordine dell'Autorità o senza autorizzazione di questa, accoglie in uno stabilimento di cura una persona presentata come affetta da alienazione mentale, o in un riformatorio pubblico un minore, è punito con l'ammenda da lire trecento a tremila.
La stessa pena si applica qualora, pur non essendo richiesto l'ordine o l'autorizzazione, taluno accolga in uno stabilimento di cura una persona affetta da alienazione mentale, omettendo di darne avviso all'Autorità.
Soggiace all'arresto fino a sei mesi o all'ammenda da lire trecento a cinquemila chi, senza osservare le prescrizioni della legge, dimette da uno dei suindicati stabilimenti una persona che vi si trovi legittimamente ricoverata.
Art. 715.
(Omessa o non autorizzata custodia privata di alienati di mente).
Chiunque, fuori del caso preveduto dal primo capoverso dell'articolo precedente, senza autorizzazione, riceve in custodia persone affette da alienazione mentale, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da lire cento a duemila.
Alla stessa pena soggiace chi non osserva gli obblighi inerenti alla custodia delle persone indicate nella disposizione precedente.
Art. 716.
(Omesso avviso all'Autorità dell'evasione o fuga d'infermi di mente o di minori).
Il pubblico ufficiale o l'addetto a uno stabilimento destinato alla esecuzione di pene o di misure di sicurezza, ovvero a uno stabilimento di cura o ad un riformatorio pubblico, che omette di dare immediato avviso all'Autorità dell'evasione o della fuga di persona ivi detenuta o ricoverata, è punito con l'ammenda da lire cento a duemila.
La stessa disposizione si applica a chi per legge o per provvedimento dell'Autorità è stata affidata una persona a scopo di custodia o di vigilanza.
Art. 717.
(Omessa denuncia di malattie di mente o di gravi infermità psichiche pericolose).
Chiunque, nell'esercizio di una professione sanitaria, avendo assistito o esaminato persona affetta da malattia di mente o da grave infermità psichica, la quale dimostri o dia sospetto di essere pericolosa a sé o agli altri, omette di darne avviso all'Autorità è punito con l'ammenda da lire trecento a tremila.
La stessa disposizione si applica se la persona assistita o esaminata sia affetta da intossicazione cronica prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti.
CAPO II.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA POLIZIA AMMINISTRATIVA SOCIALE.
SEZIONE I.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA POLIZIA DEI COSTUMI.
Art. 718.
(Esercizio di giuochi d'azzardo).
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, o in circoli privati di qualunque specie, tiene un giuoco d'azzardo o lo agevola è punito con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda non inferiore a lire duemila.
Se il colpevole è un contravventore abituale o professionale, alla libertà vigilata può essere aggiunta la cauzione di buona condotta.
Art. 719.
(Circostanze aggravanti).
La pena per il reato preveduto dall'articolo precedente è raddoppiata:
se il colpevole ha istituito o tenuto una casa da giuoco;
se il fatto è commesso in un pubblico esercizio;
se sono impegnate nel giuoco poste rilevanti;
se fra coloro che partecipano al giuoco sono persone minori degli anni diciotto.
Art. 720.
(Partecipazione a giuochi d'azzardo).
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, o in circoli privati di qualunque specie, senza esser concorso nella contravvenzione preveduta dall'articolo 718, è colto mentre prende parte al giuoco di azzardo, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a lire cinquemila.
La pena è aumentata:
nel caso di sorpresa in una casa da giuoco o in un pubblico esercizio;
per coloro che hanno impegnato nel giuoco poste rilevanti.
Art. 721.
(Elementi essenziali del giuoco d'azzardo. Case da giuoco).
Agli effetti delle disposizioni precedenti:
Sono giuochi di azzardo quelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita interamente o quasi interamente aleatoria;
Sono case da giuoco i luoghi di convegno destinati al giuoco d'azzardo, anche se privati, e anche se lo scopo del giuoco è sotto qualsiasi forma dissimulato.
Art. 722.
(Pena accessoria e misura di sicurezza).
La condanna per alcuna delle contravvenzioni prevedute dagli articoli precedenti importa la pubblicazione della sentenza. È sempre ordinata la confisca del denaro esposto nel giuoco e negli arnesi od oggetti ad esso destinati.
Art. 723.
(Esercizio abusivo di un giuoco non d'azzardo).
Chiunque, essendo autorizzato a tenere sale da giuoco o da bigliardo, tollera che vi si facciano giuochi non d'azzardo, ma tuttavia vietati dall 'autorità, è punito con l'ammenda da lire cinquanta a mille.
Nei casi preveduti dai
numeri 3° e 4° dell'articolo 719
, si applica l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda da lire cinquecento a cinquemila.
Per chi sia colto mentre prende parte al giuoco, la pena è dell'ammenda fino a lire cinquecento.
Art. 724.
(Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti).
Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la divinità o i simboli o le persone venerati nella religione dello Stato, è punito con l'ammenda da lire cento a tremila.
Alla stessa pena soggiace chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti.
Art. 725.
(Commercio di scritti, disegni o altri oggetti contrari alla pubblica decenza).
Chiunque espone alla pubblica vista o, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offre in vendita o distribuisce scritti, disegni o qualsiasi altro oggetto figurato, che offenda la pubblica decenza, è punito con l'ammenda da lire cento a diecimila.
Art. 726.
(Atti contrari alla pubblica decenza. Turpiloquio).
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti contrari alla pubblica decenza, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda da lire cento a duemila.
Soggiace all'ammenda fino a lire cinquecento chi in un luogo pubblico o aperto al pubblico usa linguaggio contrario alla pubblica decenza.
Art. 727.
(Maltrattamento di animali).
Chiunque incrudelisce verso animali o senza necessità li sottopone a eccessive fatiche o a torture, ovvero li adopera in lavori ai quali non siano adatti per malattia o per età, è punito con l'ammenda da lire cento a tremila.
Alla stessa pena soggiace chi, anche per solo fine scientifico o didattico, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, sottopone animali vivi a esperimenti tali da destare ribrezzo.
La pena è aumentata, se gli animali sono adoperati in giuochi o spettacoli pubblici, i quali importino strazi o sevizie.
Nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, se il colpevole è un conducente di animali, la condanna importa la sospensione dall'esercizio del mestiere, quando si tratta di un contravventore abituale o professionale.
SEZIONE II.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA POLIZIA SANITARIA.
Art 728.
(Trattamento idoneo a sopprimere la coscienza o la volontà altrui).
Chiunque pone taluno, col suo consenso, in stato di narcosi o d'ipnotismo, o esegue su lui un trattamento che ne sopprima la coscienza o la volontà è punito, se dal fatto deriva pericolo per l'incolumità della persona, con l'arresto da uno a sei mesi o con l'ammenda da lire trecento a cinquemila.
Tale disposizione non si applica se il fatto è commesso, a scopo scientifico o di cura, da chi esercita una professione sanitaria.
Art. 729.
(Abuso di sostanze stupefacenti).
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, o in circoli privati di qualunque specie, è colto in stato di grave alterazione psichica per abuso di sostanze stupefacenti, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da lire cento a duemila.
Art. 730.
(Somministrazione a minori di sostanze velenose o nocive).
Chiunque, essendo autorizzato alla vendita o al commercio di medicinali, consegna a persona minore degli anni sedici sostanze velenose o stupefacenti, anche su prescrizione medica, è punito con l'ammenda fino a lire cinquemila.
Soggiace all'ammenda fino a lire mille chi vende o somministra tabacco a persona minore degli anni quattordici.
TITOLO II.
DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L'ATTIVITÀ SOCIALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
Art. 731.
(Inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori).
Chiunque, rivestito di Autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza giusto motivo, d'impartirgli o di fargli impartire l'istruzione elementare è punito con l'ammenda fino a lire trecento.
Art. 732.
(Omesso avviamento dei minori al lavoro).
Chiunque, rivestito di Autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore che ha compiuto gli anni quattordici e deve trarre dal lavoro il proprio sostentamento, omette, senza giusto motivo, di avviarlo al lavoro è punito con l'ammenda fino a lire trecento.
Art. 733.
(Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale).
Chiunque distrugge, deteriora o comunque danneggia, un monumento o un'altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, con l'arresto fino a un anno o con l'ammenda non inferiore a lire mille.
Può essere ordinata la confisca della cosa deteriorata o comunque danneggiata.
Art. 734.
(Distruzione o deturpamento di bellezze naturali).
Chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'Autorità, è punito con l'ammenda da lire cinquecento a tremila.